martedì 30 novembre 2010
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«Non mi sento attaccato, non mi sento colpito, non mi sento offeso... I giornali dell’opposizione mi hanno abituato a questo fango...». Silvio Berlusconi ha passato l’ultima notte a interrogarsi. A cercare di capire. Anche a fissare cinque parole che sono il cuore di uno dei mille documenti "regalati" al mondo da Wikileaks. «È una vergogna; io stanco per le feste selvagge... È solo una vergogna». Il premier pensa. E collega quell’ennesimo giudizio sul tema donne all’ultima apparizione televisiva di una escort, Nadia Macrì, e alle sue confidenze. Complotto? Una manciata di ore più tardi gli interrogativi fino a quel momento privatissimi diventano pubblici. Berlusconi cerca le telecamere arrivate a Tripoli per seguire il vertice Ue-Unione africana e affonda il colpo: «Mi domando chi è che ha pagato queste ragazze». È il primo affondo. Poi, dopo una pausa leggera, ecco il secondo: «Wikileaks? Non guardo a quello che rivelano funzionari di terzo o quarto grado... Queste sono cose già riportate dai giornali di sinistra». Costruisce la controffensiva il Cavaliere ma ammette: «Le cose che vengono dette fanno male all’immagine del nostro Paese». E allora, proprio partendo da quest’ultima considerazione, torna ad agitare il sospetto del Grande Complotto. A chiedersi se c’è una regia. Se qualcuno muove delle pedine per screditarlo. E quando i cronisti vogliono saperne di più sui wild parties, sulle feste selvagge, attacca ancora: «Non so cosa siano. E voglio fare un appunto: una volta al mese offro delle cene nelle mie case, dove tutto avviene in modo corretto, dignitoso ed elegante». E allora perchè l’atto d’accusa della Macrì? Perchè Ruby? Anche il premier si interroga, anche lui si domanda «perchè le ragazze lo facciano, dal momento che dicono cose infondate ed incredibili... Una ragazza che si dichiara prostituta davanti al mondo si preclude tutte le strade per un lavoro futuro, o per trovare un marito... E allora perchè?». Prova a restare freddo, Berlusconi. A far emergere distacco. Disinteresse. «Sono chiacchiere di second’ordine», ripete nelle conversazioni più private. Ma che comunque fanno male alla sua immagine, male all’Italia. E che alla fine anche il capo del governo non riesce a sottovalutare. Niccolò Ghedini, l’avvocato-parlamentare, fa capire che qualcosa andrebbe comunque fatta per fermare l’uragano Wikileaks. «Perchè può creare su altri più seri argomenti danni gravissimi alla sicurezza dei Paesi interessati», annota. E Berlusconi? C’è indignazione, ma anche voglia di capire. Capire le troppe coincidenze sul tema delle feste. Capire chi «lavora dietro le quinte». A Roma, si muove anche il fidato Gianni Letta. In silenzio. «Se questi sono i costumi dell’epoca in cui viviamo c’è da restare atterriti e sconfortati», ripete lasciando spazio all’amarezza. Alla stessa ora Niccolò Ghedini costruisce l’offensiva. «Le annotazioni di fonte americana appaiono essere al più una sorta di compendio di banale gossip, già più volte riportato dalla stampa italiana». E le feste? Ghedini non ci sta: «Decine e decine di testimoni hanno spiegato che si trattava di normalissime cene». Berlusconi legge quell’agenzia, ma non riesce a ritrovare la serenità e continua a pensare che siamo all’«ultimo capitolo del Grande Complotto».
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