mercoledì 22 dicembre 2010
Eritreo in attesa di asilo racconta fuga e violenze. La testimonianza di un 22enne prigioniero per un mese dei trafficanti di esseri umani conferma l’esistenza della tratta negata dai governi locali.
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Per la prima volta parla uno degli eritrei sopravvissuti ai mercanti di uomini del Sinai. Il suo riscatto è stato pagato dal fratello, lui racconta come è finito e cosa accade nelle prigioni dei predoni. Un racconto dove si riscontrano impressionanti analogie con quelli dei 250 eritrei, 80 dei quali provenienti dalla Libia, catturati un mese fa.Tre mesi fa Adam, 22 anni, era prigioniero dei trafficanti di esseri umani. C’è rimasto quasi un mese, incatenato e trattato come una bestia, prima che il fratello maggiore Michele pagasse per liberarlo da un lurido container interrato, a pochi chilometri dal confine tra Egitto e Israele. Michele, che da un paio d’anni vive in Toscana e che aveva chiesto aiuto alla Caritas diocesana fiorentina per mettere insieme i soldi del riscatto, ci ha raccontato cinque giorni fa l’odissea di Adam, rapito dai predoni ai primi di settembre e liberato il 28 dello stesso mese. Una testimonianza importante perché ha smentito il governo egiziano, arrivato a negare perfino l’esistenza degli eritrei prigionieri. Un’ulteriore conferma che in questo angolo del pianeta fiorisce un immondo mercato sulla pelle dei migranti provenienti dal Corno d’Africa e diretti in Israele. Un affare da milioni di dollari in mano a un racket organizzato e capace di gestire sequestri e riscatti su scala internazionale. Costituito, per quanto siamo riusciti a ricostruire, da una rete di clan beduini che una volta commerciava gli schiavi, i Rashaida, ramificata nel nordest dell’Africa come nel deserto del Sinai, protetta dalle polizie corrotte di diversi Stati e affiancata da complici tigrini che attirano in trappola i migranti impegnati a raggiungere lo stato ebraico dalla Libia o dalla vecchia rotta che attraversa Sudan  ed Egitto. Ieri siamo riusciti a rintracciare Adam in Israele e lui ha accettato di rivivere con noi quei terribili momenti che definisce «my trouble in Sina», il mio problema nel Sinai. Adam oggi vive in un campo per richiedenti asilo in Israele e svolge illegalmente lavoretti saltuari per sopravvivere. Si sta riprendendo dagli stenti patiti durante il rapimento. Il patto è nomi di fantasia e indicazioni topografiche essenziali, per non far correre rischi alle famiglie in Eritrea. Quando è cominciato il tuo viaggio verso Israele?Sono partito dall’Eritrea a fine agosto. Vengo da un villaggio alla periferia dell’Asmara. Mio fratello Michele per farmi emigrare ha pagato tremila dollari a un passatore eritreo che vive a Khartoum, in Sudan. Si chiama Mshgna. Chi ti ha aiutato a uscire dall’Eritrea?I Rashaida. Hanno in mano loro i traffici tra Eritrea e Sudan. Mi hanno portato in un loro accampamento a Kassala. Il giorno dopo è cominciato il viaggio verso il Sinai, sempre con i Rashaida, su piccoli pullman. Ogni vettura trasportava 16 persone. La nostra carovana era composta da cinque pullman.Quindi eravate in tutto 80 persone. Tutti eritrei?Si e ciascuno di noi ha pagato a Mshgna tremila dollari.Il quale ha intascato 240 mila dollari per il vostro trasporto. E durante il viaggio cosa è accaduto?Tutto liscio fino al Sinai. Ma nel deserto, vicino ad Israele, i Rashaida ci hanno consegnato ad altri beduini. Pensavamo di essere arrivati e di percorrere l’ultimo tratto a piedi per passare il confine. Invece Mshgna ci ha venduti. Un gruppo di uomini armati ci ha messo in colonna e ci ha preso portafogli e documenti. Ci hanno lasciato solo il cellulare, dicendoci di usarlo per chiamare parenti e amici in Eritrea e in tutto il mondo. Se volevano rivederci vivi, dovevano pagare settemila dollari. Poi ci hanno messo le catene ai piedi, che mi hanno tolto solo quando mi hanno liberato, e ci hanno chiuso in un grande container interrato.Quanti eravate dentro?Eravamo circa 70. I container erano tre. In tutto eravamo circa 200. Dunque il vostro valore per i rapitori ammontava a quasi un milione mezzo di dollari. Come vi hanno trattati?Come bestie, con crudeltà. Ogni giorno venivamo picchiati a caso con sbarre di ferro e minacciati. Dicevano che se non veniva pagato il riscatto ci avrebbero tagliato la testa e tolto gli organi per venderli al mercato nero. Ci hanno dato poco cibo e potevamo uscire solo a piccoli gruppi di sera, sempre sorvegliati. Alle donne è toccato il peggio, sono state stuprate anche se erano lì con fratelli e mariti.   Hai capito dove eravate?No, ma abbastanza vicini al confine. Siamo stati liberati in otto perché era stato pagato il riscatto e abbiamo camminato meno di un’ora per superare il confine. La polizia non l’ho mai vista.Che fine hanno fatto i tuoi compagni di prigionia?Non lo so. Chi ha detto di non poter pagare è sparito. Nella comunità dei profughi Eritrei in Israele girano storie terribili su quanto sta succedendo nel nord del Sinai.
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