martedì 28 marzo 2023
Scivolone dell'Emilia-Romagna che di fatto propone test prenatali con fine eugenetico. Però il pubblico non aiuta a migliorare la vita delle persone con trisomia
Il piccolo Lucas, nato in Georgia negli Usa, è stato a 18 mesi di età, nel 2018, il volto "spokesbaby" dell'anno, apparendo su tutti i canali sociali della Gerber, la pubblicità e le varie campagne

Il piccolo Lucas, nato in Georgia negli Usa, è stato a 18 mesi di età, nel 2018, il volto "spokesbaby" dell'anno, apparendo su tutti i canali sociali della Gerber, la pubblicità e le varie campagne - Ansa /Gerber

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«La Regione Emilia-Romagna ha quindi deciso di offrire alle gestanti residenti sul proprio territorio l’esecuzione del Nipt test per lo screening della trisomia dei cromosomi 21 (sindrome di Down), 13 e 18, al fine di ridurre il numero di falsi positivi (e di conseguenza i test prenatali invasivi) e di ridurre il numero di falsi negativi (e di conseguenza il numero di gravidanze portate a termine con la nascita di bimbi con sindrome di Down, trisomia 13 e trisomia 18)».

Eugenetica nero su bianco, insomma, quella proposta alle gestanti emiliano-romagnole nel fascicolo informativo, scaricabile dal sito della Regione, che riguarda le prestazioni sanitarie gratuite di cui hanno diritto durante l’attesa.

Il materiale, redatto nel 2020, viene tuttora distribuito: il caso è stato sollevato da una giovane mamma bolognese proprio nella giornata mondiale dedicata alla sindrome di Down.

Michela F. di figli ne ha già due, ma, all’epoca delle prime gravidanze, l’unico screening proposto era il Bi-Test, un esame probabilistico per alcune anomalie genetiche. Da circa tre anni è stato sostituito dal più accurato Nipt, che si esegue sul sangue materno.

Lo scopo di tale esame? Secondo la Regione, evitare la nascita di bambini con trisomie.

«Intendiamoci, noi mamme emiliane siamo fortunate – precisa Michela –. Siamo ben seguite durante tutta la gravidanza, usufruiamo di visite e analisi a carico del servizio sanitario e c’è grandissima attenzione alla salute della mamma e del nascituro».

Forse addirittura troppa: «Mi sembra che la gravidanza sia iper-medicalizzata e alcuni esami di tipo probabilistico accrescono l’ansia delle mamme, in un momento molto delicato. È giusto sapere se il bambino ha qualche problema, ma solo per preparare i genitori o per curarlo, se possibile» prosegue Michela.

Il materiale informativo che viene fornito alla gestante, appena scopre la gravidanza, comprende «un link a una pagina internet della Regione, da cui si scaricano un video divulgativo su queste sindromi genetiche e una comunicazione che la mamma deve firmare e consegnare al medico curante, per usufruire degli esami dispensati dal servizio sanitario: questo contiene l’espressione sopra riportata» racconta la futura mamma, che è rimasta molto colpita da quella frase.

«Ho dovuto leggerla più volte – ammette –. Per la mia sensibilità, un figlio non è meno figlio se ha determinate caratteristiche genetiche o se è malato, evento che, peraltro, si può scoprire o verificare anche dopo la nascita» osserva Michela.

Dopo la sua segnalazione, anche la politica si è mossa: «Immagino non ci fosse un mandato politico dietro a quella frase, ma l’assessore mi ha assicurato che il documento verrà corretto – dice il consigliere regionale Giuseppe Paruolo –. Preoccupa il fatto che - fra le pieghe di documenti tecnici - possano emergere retropensieri che considero davvero inquietanti. Peraltro, va detto che siamo nel pieno di un’offensiva culturale che cerca di far passare l'idea distopica che solo una vita facile e di successo sia piena e degna. È un’offensiva culturale a cui io credo dovremmo reagire con maggiore vigore» commenta Paruolo.

Non meno severo è il giudizio di Pierluigi Sforza, presidente del Centro emiliano problemi sociali per la trisomia 21 (Ceps), che definisce il testo «emblematico di quella che è la mentalità eugenetica che sta lentamente crescendo nell'indifferenza di molti: chi è fragile non facciamolo nemmeno nascere».

Questo, secondo Sforza, è l’esempio di come vengano investiti «soldi e risorse sulle analisi prenatali al fine di non far nascere persone con trisomia, mentre stanno a zero le risorse per approfondire la conoscenza delle trisomie e migliorare la qualità di vita di chi con trisomia ci nasce».

A Bologna, per esempio, «c'è una ricerca che da ormai dieci anni prosegue il lavoro di Lejeune ed è finalizzata a migliorare la qualità di vita delle persone con trisomia 21: anche in questo caso zero risorse dalla Regione e si va avanti solo con finanziamenti non pubblici».


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