venerdì 13 febbraio 2009
Paluzza: Il cielo blu e le cime innevate della Carnia hanno accolto il ritorno di Eluana nella sua terra. Duecento persone presenti alla liturgia. Prima il carro funebre aveva sostato davanti a casa Englaro, dalle cui finestre Beppino e la moglie hanno salutato la figlia per l’ultima volta. L’omelia: «È il momento di chinare il capo e di chiedere a Dio di illuminarci attraverso i dubbi e le incertezze della vita, di tornare a camminare insieme come fratelli».
COMMENTA E CONDIVIDI
«Eluana, ben tornata nella terra del tuo papà, dei tuoi nonni. La tua co­munità ti accoglie». Sono da poco passate le due del pomeriggio quan­do la Mercedes grigia si inerpica sul monte di Paluzza, paese natale de­gli Englaro, e consegna Eluana alla chiesetta di San Daniele, ultima tap­pa di un viaggio tormentato che sembrava infinito. Poco prima, ap­pena giunta da Udine, era passata per via Nazionale e davanti a una ca­sa gialla a due piani aveva sostato qualche istante. È la dimora storica degli Englaro, dentro Saturna e Bep­pino condividevano l’ultimo strazio, da quelle finestre vedevano allonta­narsi per sempre la loro unica figlia. «Eluana, ben tornata...». Quando la bara coperta di rose rosse si ferma ai piedi dell’altare, forte la voce del par­roco don Tarcisio Puntel si rivolge a lei chiamandola per nome, e la gen­te quasi trasale. Non c’è ressa ad aspettarla, due­cento persone potrebbe contenere la chiesetta e duecento ne contiene: fuori soltanto fotografi e camera­man, a loro l’ingresso è vietato. È sa­lita a piedi, la gente di Paluzza, così come i giornalisti, probito anche l’accesso alle macchine, questione di sicurezza... Eppure adesso che E­luana è tutta lì, serena e rassere­nante, così lontana dai clamori dei vivi, sembra venuto da un altro mondo quel dispiegamento di poli­zia, carabinieri, Guardia di finanza, Protezione civile, persino di artifi­cieri che ieri mattina avevano «bo­nificato » la chiesetta di montagna: tutto sproporzionato, tutto inutile, straniero, qui. Siamo in Carnia, cielo blu e monta­gne cariche di neve ancora candida. Luce e colori guizzano dentro dalle piccole vetrate e li diresti inoppor­tuni per quel funerale, certo più fo­sco e drammatico nel resto d’Italia che qui, dove sereno è anche don Tarcisio quando, subito all’inizio, chiarisce: «Un funerale cristiano pro­clama sempre la vita. Cristo è risor­to, ecco cosa siamo qui a proclama­re oggi: l’uomo non finisce, rinasce in Dio. Celebriamo una vita, la vita di Eluana». A un passo da lei, incon­solabile, lo zio Armando insieme ai suoi due figli. Ha il viso di Beppino, solo non consumato da anni di sof­ferenza né scavato dalle angoscie. Eppure lo guardi e pensi che un pa­dre non potrebbe soffrire di più. È lui che ha convinto il fratello a non cremare il corpo di Eluana e a con­cederle un rito religioso, è per ri­spetto al suo desiderio che Beppino alla fine ha accettato, pur restando fermo nella scelta di aspettare da ca­sa che tutto fosse compiuto. «Dopo che questa mia pelle sarà di­strutta, senza la mia carne, io vedrò Dio...», viene letto sull’altare, e le pa­role di Giobbe ora suonano le più a­datte alla lunga vicenda umana che qui si conclude: alla pazienza di E­luana, a quella di chi soffriva per lei, e a quella di chi la accudiva. Alla pa­zienza di chi sempre sperava e di chi non sperava più da molti an­ni. «I miei occhi lo contempleranno non da stranieri», è la promessa che oggi consola, e lo zio Armando per la prima volta non trattiene più i sin­ghiozzi. Il Vangelo è di Matteo, e nei mille volti del discorso della Monta­gna riconosci sempre lo stesso, quel­lo di Eluana: beati gli afflitti, beati i miti, beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, beati i puri, e i per­seguitati. Appartiene agli ultimi il Regno dei Cieli e chi più ultimo di quella vita u­mile, fragile, così bambina da dover dipendere per 17 lunghissimi anni dall’amore altrui? «Rallegratevi, per­ché vostra è la ricompensa nei cieli». È un’omelia difficile quella che spet­ta a don Tarcisio, forse la più compli- della sua vita, e il clima è di at­tesa. «Sorelle, fratelli, non so quali pa­role vi attendiate da me in questo momento così particolare, carico di interrogativi - esordisce infatti. E l’at­tesa adesso aumenta - . Non mi in­tendo di medicina né di politica, so un po’ di filosofia ma non sono un teologo. Sono solo un uomo che ha fatto un cammino di fede, e ieri not­invece te, inginocchiato davanti al Crocifis­so, ho chiesto ispirazione. Il mistero del dolore che abbiamo innanzi agli occhi è così profondo che è difficile dargli una risposta. Lui su quella cro­ce ce l’ha fatta, diventando fonte di vita e speranza: quanti malati nelle case di cura, quante famiglie guar­dando lui trovano forza e speranza?». Clamori e passioni rimangono fuori dalla chiesa, domani riprenderanno, ma qui no, «oggi è l’ora dell’umiltà. Passate le polemiche, ora c’è il silen­zio e tutti noi ci troviamo ognuno di fronte alla propria coscienza, che spero sia educata al rispetto della vi­ta e della persona. In questi ultimi mesi non abbiamo fatto altro che parlare di Eluana, tutti a dire la no­stra, scontrandoci in modo forte, tut­cata ti pensando di avere la risposta giu­sta. Adesso è il momento di chinare il capo, di chiedere a Dio di illumi­narci attraverso i dubbi e le incertez­ze della vita, di tornare a cammina­re insieme come fratelli». Eluana, quel corpo di cui tanto si è discusso, ora è lì protetta dagli sguar­di nella sua bara, ma non ha smes­so di rivolgersi a noi, di chiamare in causa il nostro pensiero e le co­scienze, soprattutto di muovere il no­stro affetto, «e se lo merita, perché dal suo letto lei ci ha parlato - ricor­da il sacerdote - ci ha fatto capire che ci sono tanti fratelli ancora che han­no bisogno del nostro amore...». È una cerimonia raccolta, pochi a­mici ma veri, ma proprio per questo è intensa. Struggenti diventano le preghiere quando il parroco invita a cantarle «nella nostra lingua friula­na », tagliente a volte, affilata come i carnici, ma poi schietta e che arriva diretta al cuore di tutti, anche dei giornalisti, i soli giunti da regioni lon­tane. « Pari nestri che tu seis l’Eterno, ch’a sei fate la to volontat... », è il mo­mento del Padre nostro, « danus voi il pan ch’al covente e perdone las no­stes tristeries... ». Poi toccherà al can­to del commiato, « l’ultim salut », che si fa supplica per Eluana: « Dopo i tor­menz di cheste vite tenle par simpri cun tei, Signor », e a nessuno occor­re traduzione. « Ancje par nou a ven la zornade quanche il Paron nus cla­marà », verrà il giorno anche per noi... Alla fine di tutto, quando anche il canto tace ed Eluana si appresta ad attraversare il prato bianco di neve per raggiungere la tomba di famiglia subito fuori la chiesetta, sul colle di Paluzza, «cara Eluana – si rivolge per l’ultima volta a lei don Tarcisio pri­ma di uscire – ora ’tu te sei in veritat’, conosci più di noi, perché tu vedi coi tuoi occhi quello che noi soltanto speriamo e vediamo con la nostra fede. So che dal cielo farai sentire la tua presenza alla tua mamma e al tuo papà. Quella tua stanzetta di Lec­co non resterà vuota di te...». Carabinieri e polizia che l’hanno «presidiata» prima a Lecco e poi a U­dine, scortata ieri a Paluzza, infine vegliata fuori dalla chiesa, ora che E­luana compare sulla porta si metto­no sull’attenti. Saluto militare. Lei non l’avrebbe mai immaginato. Ma quante cose non avrebbe immagi­nato? Nella tomba di famiglia ieri hanno calato la nostra Eluana. Ri­posa accanto ai suoi nonni.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: