lunedì 22 gennaio 2018
Il premier: non credo M5s abbia numeri per governare. La replica: si dimetta. Berlusconi a Bruxelles per rassicurare Ue fa arrabbiare Salvini: «Non abbiamo bisogno di garanti in Europa»
Tutti in campo in cerca di credibilità. Scontro Gentiloni-Di Maio
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Archiviata la dialettica interna ai partiti per decidere simboli, alleanze, candidature e programmi, ora la politica si dedica a convincere elettori ed Europa che solo il proprio schieramento è in grado di garantire stabilità di governo e discontinuità con il passato. E così il premier uscente Paolo Gentiloni, che i grillini vorrebbero si dimettesse, dalle colonne de Il Foglio dice con chiarezza che M5s non hanno alcuna possibilità di arrivare a palazzo Chigi. Mentre i partito pentastellato, che ieri ha chiuso a Pescara la Kermesse in cui ha presentato programma e candidati, per bocca del suo leader Luigi Di Maio ribatte alle accuse tornando a chiedere all'inquilino della Presidenza del Consiglio almeno le dimissioni, se ha intenzione di «scendere nella mischia». Di contro il centrodestra non vive giorni tranquilli, con le continue frizioni per la leadership tra Berlusconi e Salvini che non accennano a placarsi. Ultimo atto la visita in Europa di due giorni del numero uno di Forza Italia, iniziata poco fa a Bruxelles dove incontrerà il presidente della commissione Ue Jean Claude Junker e il presidente del Parlamento Antonio Tajani, in cui Berlusconi rassicurerà le istituzione Ue sulla solidità del centrodestra e sulla capacità di poter garantire un governo dallo sguardo europeista. Ed è proprio questo ruolo di ambasciatore che non piace all'alleato leghista Matteo Salvini per cui in Europa «non abbiamo bisogno di garanti».

Gentiloni punta sulla continuità e allontana lo spettro M5s

«Non sono affatto spaventato. Penso che il rispetto agli elettori M5S sia dovuto. Ma penso che la possibilità che il movimento arrivi a guidare il governo non ci sia». È un Paolo Gentiloni che abbandona il suo profilo istituzionale quello che si presenta agli elettori de Il Foglio, con cui il premier per la prima volta parla senza peli sulla lingua del partito pentastellato. «È una forza che se anche avesse risultati significativi che gli vengono attribuiti da sondaggi non so quanto generosi, non avrebbe i numeri per governare». Dunque rispetto assoluto per l'elettorato 5S, «ma fuori dall'Italia nessuno mi ha mai mostrato preoccupazione per la possibilità, a cui nessuno crede, che il movimento possa arrivare al governo». Il punto è, secondo Gentiloni, che alla «grande fatica nella democrazia dei partiti» non si risponde con «l'illusione della democrazia diretta del web» che finirebbe per diventare «un rimedio peggiore del male». Ma attenzione a non sottovalutare il male, prosegue, «riguarda tutti».

Non si è fatta attendere la replica del candidato premier Luigi di Maio che, alla trasmissione Mattino Cinque, sottolinea come Gentiloni «con quell'affermazione è sceso nella mischia, ma un presidente del Consiglio dovrebbe avere almeno la decenza di dimettersi». Poi va più nel dettaglio rispondendo sul punto messo in campo dal premier democratico: «Non abbiamo i numeri? L'ultimo ad aver detto quella frase è stato Fassino e ci hanno consegnato il Paese».

Berlusconi a Bruxelles in cerca di consensi

Oggi Tajani, Junker e il segretario del Ppe Antonio Lopez Isturiz, domani il capogruppo del partito popolare europeo Joseph Daul. Il leader di Forza Italia è volato a Bruxelles per rinsaldare i legami con l'Europa e convincere sulla comunanza di radici politiche che ha portato il centrodestra a tornare unito. Nessuna "accozzaglia" per vincere, ma la consapevolezza di essere l'unica alternativa nel Paese alla deriva populista dei Cinquestelle e al Pd che in questi anni ha dimostrato di avere parecchi problemi all'interno per essere il partito di governo. Ma questo slancio in avanti del Cav non piace al leader della Lega Matteo Salvini: «L'Italia non ha bisogno di garanti, siamo una Repubblica libera e sovrana che è stata calpestata dagli interessi di Bruxelles e Berlino, quindi sono gli italiani a dover essere garantiti da questo». Tuttavia il Cav tira dritto e al segretario del Ppe Lopez assicura: «Abbiamo presentato il nostro programma al Ppe, la cosa importante è la nostra volontà di rispettare la regola del 3% del deficit».

M5s incorona i candidati e rilancia con un programma in 20 punti

«Accordo programmatico». È in queste parole che le anime del M5S sembrano trovare una quadra per il dibattito sulle alleanze. Dibattito fastidioso (per il Movimento) ma inevitabile, che "domina" la scuola politica di Pescara in una domenica che si apre con un post co-firmato nel quale Beppe Grillo e Luigi Di Maio smentiscono qualsiasi frattura sulla strategia sulle alleanze post-voto. E in serata, ecco arrivare la linea del terzo "big" del Movimento, Alessandro Di Battista: «Chi avrà l'incarico di governo andrà in Parlamento e chiederà la fiducia su dei punti» del programma. Dibba si prepara a non risparmiarsi in questa campagna elettorale da non candidato, con un tour in camper che partirà il 1 febbraio per le piazze italiane.

Ma è su volti e programmi che il partito pentastellato si gioca tutto. Sul primo fronte le parlamentarie hanno incoronato i profili scelti dal web, ma la strategia di Grillo e Casaleggio è quella di puntare su «nomi forti agli uninominali», tra i quali diversi esterni, nei collegi in cui sa di potersela giocare. Si dice, ad esempio, che il generale Gregorio De Falco (acclamato a Pescara) sia candidato a Pisa, mentre a Roma non sono stati smentiti i rumors della discesa in campo del presidente dell'Ordine degli avvocati di Roma, Mauro Vaglio. Nomi con cui il M5S vuole ampliare il suo consenso oltre al suo nocciolo duro.

Sul fronte programma, invece, M5s punta su venti temi che tratteggiano il programma elettorale all'insegna dello slogan «partecipa, scegli, cambia». Si va dalla semplificazione delle leggi alla green economy, ma non si parla di referendum sull'euro. Stop alla giungla delle leggi, meno burocrazia per imprese e cittadini. Investimenti in nuova tecnologia, nuove figure professionali, internet delle cose, auto elettriche, digitalizzazione Pa. Ovviamente reddito di cittadinanza, battaglia storica del Movimento, e pensione di cittadinanza. E ancora, oltre 2 miliardi di euro per la riforma dei centri per l'Impiego.

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