giovedì 26 settembre 2019
I senatori (Pd, Leu, Misto e Psi) sono per il ricorso a un preparato mortale, su richiesta di malati «irreversibili», ma capaci di intendere
I senatori Riccardo Nencini (Psi), Monica Cirinnà (Pd), Matteo Mantero (M5s) e Roberto Rampi (Pd), nel corso della conferenza stampa di presentazione del ddl in materia di  tutela della dignità nella fase finale della vita (Foto Ansa)

I senatori Riccardo Nencini (Psi), Monica Cirinnà (Pd), Matteo Mantero (M5s) e Roberto Rampi (Pd), nel corso della conferenza stampa di presentazione del ddl in materia di tutela della dignità nella fase finale della vita (Foto Ansa)

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La decisione della Consulta sul caso Cappato non era ancora arrivata, che già si apriva ieri un altro fronte politico, e parlamentare, sulla delicata questione del 'fine vita'. Una pattuglia di sette senatori ha presentato infatti in Senato un disegno di legge che prevede l’introduzione del «farmaco letale», espressione già di per sé inquietante. La prima firmataria è la senatrice del Pd Monica Cirinnà, non nuova a battaglie in bilico sul complicato crinale fra libertà dell’individuo e bioetica. Insieme a lei, hanno sottoscritto il testo Tommaso Cerno e Roberto Rampi (Pd), Loredana De Petris (Leu), Matteo Mantero (M5s), Riccardo Nencini (Psi-Italia viva) e Paola Nugnes (Misto). L’opinione di Cirinnà è che si debba «consentire a chi già sta morendo di poterlo fare secondo la propria visione della dignità del morire». Sul piano normativo, il testo interviene sul delitto di aiuto al suicidio (previsto dall’articolo 580 del codice penale e oggetto della decisione della Consulta di ieri), anche se nella sostanza si presenta come un ricorso all’eutanasia propriamente detta. Secondo la senatrice dem, l’attuale legislazione consente «una doppia scelta di rinuncia ai trattamenti sanitari e di sedazione profonda».

E, prosegue, «questa scelta lascia un gap di tempo che la nostra proposta potrebbe abbreviare ». Il ddl ha infatti, continua la proponente, «inserito la possibilità del farmaco letale»: l’induzione farmacologica di un preparato che uccide il paziente e che sarebbe lasciata, come possibilità di scelta, solo a quei malati affetti da «patologia irreversibile », «fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili» e comunque capaci «di prendere libere decisioni».

Si tratta di una «proposta in più tra le tante già depositate», aggiungono i firmatari del disegno di legge, convinti che non ci siano «linee di partito su questo tema, ma solo diverse sensibilità» e chiedono che «queste sensibilità si incontrino», attraverso una sintesi del Parlamento all’insegna della «trasversalità». È il Parlamento «a dover legiferare in questa materia», insiste Cirinnà, «il governo deve fare un passo indietro».

In attesa di verificare se sul punto esista effettivamente, nelle Camere, la 'trasversalità' proclamata dalla senatrice dem, fuori dal Parlamento c’è chi si interroga sugli esiti di una deriva eutanasica. Don Roberto Colombo, membro della Pontificia Accademia per la Vita e docente di neurobiologia e genetica umana all’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, rammenta come «la vita umana è un bene non solo personale, ma anche sociale. Troppo spesso si insiste sulla qualità della vita degli ammalati – ragiona in una intervista a Vatican news – che, qualora giudicata insufficiente, giustificherebbe l’eutanasia o il suicidio assistito. Dobbiamo, invece, puntare sulla qualità dell’amore e della cura agli ammalati.

Una nuova accoglienza può allontanare il terribile spettro del desiderio dell’eutanasia». Una riflessione di tenore analogo arriva dal presidente del Forum delle famiglie, Gigi De Palo: «Ogni vita è degna se c’è qualcuno che la ama. E ogni malato desidera vivere, se c’è qualcuno che continua a gioire per il suo sorriso o per il suo respiro. Il problema non è di essere liberi fino alla fine, ma amati fino alla fine».

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