sabato 31 luglio 2010
Le più alte cariche istituzionali ai funerali dei due soldati uccisi in Afghanistan. Monsignor Pelvi: è giusto partecipare alle missioni nelle aree di crisi, per un futuro di pace.
- IL VIDEO: Intervista al maresciallo Gigli 
- La vedova Coletta: «Ogni volta io rivivo quell'abisso di dolore»
COMMENTA E CONDIVIDI
Il dolore è il pianto di un bimbo di sette anni che non capisce perché, e stropiccia tra le manine un pelouche. È il grido di una madre, il silenzio stordito di una moglie, il singhiozzare asciutto di un ragazzo, che quel "perché" lo capiscono, ma non se ne danno ragione. Mani che provano a consolare, tese verso di loro, parole di conforto che forse un po’ davvero consolano, o rendono il senso di una morte straziante in una terra lontana. Personaggi importanti ma soprattutto tanta, tanta gente comune. Potevano essere i figli nostri, qualcuno sussurra cacciando via in fretta una lacrima, e segnandosi davanti a quelle due bare ben strette nelle bandiere.Dall’arrivo delle salme a Ciampino alla camera ardente del Celio, e fino a Santa Maria degli Angeli, attorno alle famiglie del primo maresciallo Mauro Gigli e del caporal maggiore capo Pier Davide De Cillis, morti mercoledì in Afghanistan, s’è chiuso ieri un cordone di affetto che neppure la brutta giornata di questo luglio romano è riuscita a rarefare. Affetto vero, che neanche nel rigore del mesto pomeriggio della memoria ufficiale scivolerà mai in retorica dell’afflizione. E le parole della mattina del piccolo Marco, «Il corpo di papà non c’è ma l’anima è in cielo», davanti alla tragedia diventano davvero alla fine la chiave di tutto: «Veramente dalla bocca dei bambini – dirà nell’omelia delle esequie l’Ordinario militare monsignor Vincenzi Pelvi – ascoltiamo le verità eterne».A Santa Maria degli Angeli sfilano le più alte cariche dello Stato: il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e quelli del Senato, Renato Schifani e della Camera Gianfranco Fini. A rappresentare il governo il sottosegretario Gianni Letta e il ministro della Difesa Ignazio La Russa, mentre è assente il premier Silvio Berlusconi, che però nel pomeriggio s’era recato alla camera ardente, trattenendosi per oltre mezz’ora con i familiari dei due genieri. E poi, tra i presenti, anche il leader del Pd Pier Luigi Bersani con Piero Fassino, e quello dell’Udc Casini, oltre alle più alte cariche militari. E tantissima gente comune, tutti davanti a quelle due bare che oggi ritorneranno a casa, a ricevere il saluto di quanti, di Gigli e De Cillis, serberanno un ricordo, un rimpianto, diverso.Ma non c’è dubbio che «il servizio internazionale dei nostri militari – ha ricordato Pelvi nell’omelia – richiama quella collaborazione tra popoli, unica via per offrire un futuro sereno all’umanità». Per questo «la comunità internazionale, in particolare l’Europa e l’Italia, sono tenuti a fare la loro parte per promuovere pace, stabilità, disarmo, sviluppo per sostenere ovunque la causa dei diritti umani. Perciò è giusto intensificare le iniziative di cooperazione internazionale e partecipare alle missioni delle Nazioni Unite in aree di crisi».È il senso di un impegno, e di un sacrificio, che è certo difficile da accettare. Ma «è importante farlo», ha aggiunto monsignor Pelvi, ed è importante soprattutto farlo «con professionalità e umanità, che contraddistinguono le nostre forze armate alle quali l’intera nazione esprime riconoscenza e crescente apprezzamento. Se non impariamo a pensare in termini di mondialità siamo destinati al declino»». Per questo, allora, «occorre riconoscere di essere una sola famiglia umana legata non tanto da doveri e obblighi ma da una relazione di solidarietà. Non esiste – ha aggiunto l’Ordinario militare – nessuna categoria o gerarchia di uomo, inferiore o superiore, dominante o protetto, ma solo l’uomo creato per amore e che vuol veder vivere, in famiglia e società un’armonia fraterna». «Mauro e Pier Davide – ha concluso Pelvi – nel vostro sacrificio rileggo non l’annullamento della persona ma la forma più compiuta di realizzazione di voi stessi. Vivere in relazione è criterio decisivo della qualità dell’esistenza sociale, perché ricostruisce l’unità, anche con colui che uccide».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: