martedì 26 novembre 2019
Per la prima volta tutte le realtà impegnate nelle strutture terapeutiche pubbliche e private insieme per chiedere una revisione del Testo unico sulla droga: «Un’epidemia nel Paese. Va fermata»
Il grido delle comunità e dei servizi: «Serve una nuova legge». Ecco la proposta
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È un grido che non può più restare inascoltato, quello lanciato ieri alla Camera dei deputati dalle comunità di recupero e dai servizi pubblici insieme ai rappresentanti delle principali società scientifiche della ricerca nel campo delle dipendenze. Tutti insieme – per la prima volta – al cuore dello Stato per dire che sulla droga serve un cambiamento. Subito.

I numeri dell’emergenza in corso, d’altronde, da soli dovrebbero bastare a innescare un intervento straordinario da parte delle istituzioni: un morto ogni due giorni di overdose nel 2019 (siamo arrivati a quota 216, l’ultima vittima ieri), l’età media del primo consumo di sostanze crollata ai 14 anni, 4 milioni di italiani che fanno uso di stupefacenti, di cui 460mila hanno bisogno di trattamenti terapeutici per una dipendenza strutturata (da droga, da alcol, da azzardo, o da tutto insieme, come sempre più spesso avviene). Eppure le risposte non ci sono affatto. O se ci sono, si limitano al contrasto dell’offerta con retate e arresti: fondamentali, ma insufficienti. Lo sanno bene proprio le comunità e i servizi – i cosiddetti Serd –, che nel deserto dei fondi e di un indirizzo politico (il governo attuale non ha nemmeno assegnato le deleghe) riescono a coprire appena un terzo delle richieste d’aiuto. Senza possibilità di azioni incisive sui minori (la generazione più a rischio), nel campo della prevenzione né – alla fine dei percorsi di recupero – nel reinserimento sociale.

Per ripartire serve il coraggio di mettere le mani a una normativa vecchia di trent’anni. Si tratta del Testo Unico in materia di disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope, approvato nel 1990. È ad allora – sembra incredibile – che risale il piano d’azione dello Stato italiano sulla droga, quando nel nostro Paese si fronteggiava l’emergenza del “buco” e del contagio di Aids. Oggi s’inventa (e si spaccia) una nuova sostanza a settimana, per lo più sintetica, i cannabinoidi la fanno da padroni (anche in concentrazioni mortali) e la piaga delle dipendenze s’è allargata ai farmaci, alle slot-machine, agli smartphone. In mezzo, l’abisso di un sistema impreparato e sguarnito di mezzi e risorse.

Le tre proposte sul tavolo

Tre i punti fondamentali della proposta di revisione, che si riferisce esclusivamente al sistema dei servizi: «Il primo è proprio quello di un processo di presa in carico globale della persona – spiega Luciano Squillaci, presidente della Federazione italiana delle comunità terapeutiche (Fict) –. Negli anni il sistema di intervento si è tarato sempre più su un livello prestazionale per singola fase, tanto che la persona gradualmente è stata messa da parte e al centro si è messa la sostanza. Le dipendenze patologiche, invece, presentano la necessità di un intervento integrato, sociale e sanitario». Un elemento che si ritiene ormai irrinunciabile è dunque che la normativa tenga conto dell’inserimento anche delle dipendenze cosiddette comportamentali, superando il concetto di semplice “tossicodipendenza”.

Altra priorità, il sistema di governance del sistema, che si dovrebbe basare su un nuovo modello duale «in cui accanto all’indirizzo e al coordinamento da parte del governo – spiega Francesco Vismara di San Patrignano – si affianchi l’azione di un Osservatorio permanente composto da una rappresentanza completa di tutti gli attori chiamati ad interagire sui processi di prevenzione, cura, riabilitazione ed inserimento sociale e lavorativo». La base vuole farsi sentire, provando anche a fare sintesi delle istanze regionali e superando l’attuale, eccessiva frammentazione e difformità di intervento tra le diverse regioni.


Infine il punto dolente delle risorse, di cui il comparto dei servizi e delle comunità è sostanzialmente digiuno ormai dal 2000, quando è stato istituito il Fondo unico delle politiche sociali (dentro a cui si sono polverizzate le risorse destinate alla prevenzione e alla riabilitazione): la proposta è di istituire nuovamente un Fondo dipendenze, attingendo a quelli attualmente destinati alle vittime della criminalità organizzata e del narcotraffico. E poi occorre razionalizzare il sistema tariffario, che oggi rappresenta un punto debole nei servizi dei diversi territori regionali, con aree del Paese del tutto digiune di aiuti economici sul fronte della cura e del recupero.

Oltre a Fict e San Patrignano, alla Camera ieri si sono seduti i rappresentanti del Coordinamento nazionale dei Coordinamenti regionali degli enti accreditati per le dipendenze (Intercear), il Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza (Cnca), l’Associazione nazionale comunità terapeutiche pubbliche per le dipendenze patologiche (Ascodip), FederSerd, la Società italiana patologie da dipendenza (Sipad), la Società italiana tossicodipendenze (Sidt), Comunità Incontro, Exodus, Comunità Emmanuel, Associazione Saman. Innanzi a loro, una trentina di parlamentari di tutti gli schieramenti politici – da Fratelli d’Italia al Partito Democratico, dalla Lega al Movimento 5 Stelle e Italia Viva – che si sono impegnati a raccogliere l’appello trasversalmente e a trasformare la proposta in un disegno di legge. «Il tempo è già scaduto – ripete il mondo delle dipendenze con una voce sola –, serve fermare un’epidemia».

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