venerdì 20 novembre 2020
Nella notta il decreto-ter. Indennizzi anche ai negozi di scarpe. Fondo da 400 milioni per la solidarietà alimentare: i ticker saranno erogati dai Comuni
Decreto ristori, tornano i buoni spesa

Ansa

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È il terzo decreto ristori in neanche un mese quello varato ieri a tarda sera dal Consiglio dei ministri. Un intervento - secondo le ultime bozze - da 2 miliardi e di soli 6 articoli: il cuore del testo è l’aggiornamento dei codici Ateco delle imprese che hanno diritto di accedere agli indennizzi a fondo perduto (risultano compresi, ora, anche i negozi di scarpe e accessori) e l’istituzione presso il ministero dell’Interno di un nuovo fondo per la solidarietà alimentare da 400 milioni. Il fondo sarà poi suddiviso tra i Comuni, con le stesse modalità della scorsa primavera, al fine di erogare buoni-spesa a famiglie e persone in stato di indigenza. Il ristori-ter non sarà l’ultimo: un quarto è in arrivo già la prossima settimana e uno ulteriore, più robusto, all’inizio del 2021 per supportare una manovra di bilancio insufficiente a fronteggiare l’onda lunga dell’epidemia. Una cronologia, quella dei dl a ripetizione, che rimanda passo passo all’evoluzione dei Dpcm sulle chiusure.

In pratica con il dl-ter approvato nella notte si corre in soccorso delle regioni “declassate” dal giallo all’arancione o al rosso. Con il prossimo, che potrebbe valere altri 8 miliardi e per il quale servirà uno scostamento di bilancio (già calendarizzato alla Camera il 26 novembre), si tampona il protrarsi dell’emergenza fino a fine anno, in particolare attraverso il rinvio delle scadenze fiscali per le imprese di novembre e dicembre. Poi a gennaio, in base all’evoluzione di contagi, si provvederà a irrobustire i ristori del prossimo anno, «modulati proporzionalmente alla situazione dell’economia», dicono dal Mef.

La legge di bilancio stanziava solo 3,8 miliardi per gli aiuti alle imprese nel 2021. Ce ne vorranno ben di più: si parla di 20 miliardi. Così il Consiglio dei ministri ha deciso ieri una manovra politicamente creativa, rimettendo in gioco quei 3,8 miliardi: saranno utilizzati per altri scopi, come decideranno governo e Parlamento nell’iter di conversione in legge. Ai ristori futuri provvederà invece il decreto numero 5 all’inizio del prossimo anno, che avrà bisogno di nuovo deficit. A quanto pare invece per il decreto 3 non sarà necessario aumentare il disavanzo perché grazie al mini–boom del Pil nel terzo trimestre 2020 sono rimasti in po’ di soldi in cassa pronti alla bisogna.

«Anche con i fondi che metteremo nel decreto di oggi (ieri per chi legge, ndr) nel 2020 stiamo sotto di circa 6 miliardi al 10,8% di deficit» fissato nella Nadef, ha spiegato il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri: «Abbiamo avuto un deficit più basso perché abbiamo avuto maggiori entrate, oltre a minori uscite per la Cig e all’impatto della ripresa più forte» nel terzo trimestre, «tutto questo già scontando il rallentamento» di fine anno». Un “tesoretto” che è già servito a finanziare i dl Ristori 1 e 2.

Con il dl Ristori–quater si punta invece a sospendere tutte le scadenze fiscali da qui a fine anno (Italia Viva preme anche per rinviare le rate della rottamazione ter e del saldo e stralcio che ripartono dal 10 dicembre). L’ipotesi sarebbe quella di rinviare il secondo acconto Irpef, Irap e Ires del 30 novembre, contributi previdenziali e ritenute fiscali del 16 dicembre e Iva il 27 dicembre per tutte le imprese che abbiano perso nel primo semestre almeno il 33% del fatturato e che fatturino fino a 50 milioni di euro. Interventi molto costosi. Mentre con il Ristori ter si va solo a rimpolpare il plafond per i contributi automatici a fondo perduto per le imprese soggette a nuove chiusure regionali ed ampliare la lista dei codici Ateco ricompresi.

Per il prossimo anno resta poi da sciogliere il nodo del Recovery fund, bloccato dai veti di Polonia e Ungheria. Ieri il premier Giuseppe Conte ne ha parlato al telefono con la cancelliera Angela Merkel, annunciando entro fine mese il piano italiano. Intanto Gualtieri non esclude che l’assegno unico per i figli (al via dal luglio 2021) possa escludere le famiglie più benestanti. «Il concetto di assegno universale è molto bello, evocativo, ma è lecito ragionare sul fatto che sopra una certa soglia di reddito, per i redditi molto alti, possa non essere prioritario avere uno strumento di questo tipo».

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