giovedì 14 marzo 2024
Oltre alla bulimia e all’anoressia, gli esperti parlano di altre gravi patologie in crescita negli ultimi 3 anni tra i giovanissimi. Cure e trattamenti garantiti in centri specializzati e cliniche
Spesso i disturbi dell'alimentazione sono la conseguenza di un cattivo rapporto con il proprio corpo

Spesso i disturbi dell'alimentazione sono la conseguenza di un cattivo rapporto con il proprio corpo - Ansa

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È un fenomeno drammatico in continua crescita: in Italia sono circa tre milioni le persone affette da disturbi alimentari e della nutrizione. I dati del ministero della Salute, diffusi in vista della “Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla” che ricorre oggi, parlano di un aumento del 30% dei casi dopo la pandemia e il lockdown, ma la tendenza in salita non si ferma. E l’anno scorso i decessi per le complicanze legate all’anoressia o alla bulimia sono stati 3.780. Si tratta della prima causa di morte tra i giovanissimi dopo gli incidenti stradali: il 70% dei malati, infatti, è in età adolescente. «All’inizio del 2000 le persone che soffrivano di disturbi dell’alimentazione in Italia erano circa 300 mila ma negli ultimi tre anni le richieste di aiuto che ci arrivano da chi chiama il numero verde 800180969 sono triplicate» commenta Laura Dalla Ragione, psichiatra, direttrice della Rete Disturbi del Comportamento Alimentare (Dca) dell’Usl 1 dell’Umbria e responsabile del servizio telefonico nazionale attivato dall’Iss. E secondo un'analisi dell'Osservatorio sui Dca, su uno studio realizzato dal servizio di psicologia online Unobravo, il 79,4% delle persone che sostengono di non aver un buon rapporto con il cibo sono donne. Tra gli altri dati che emergono dall'indagine è che tra i soggetti che chiedono un supporto psicologico solo il 9,3% ha una diagnosi mentre il 28,1% degli utenti coinvolti nell'analisi parla di episodi riconducibili a un possibile binge eating disorder, ovvero frequenti abbuffate dopo le quali si manifestano sintomi fisici o psicologici (l'82,5% sono donne, quasi la metà tra i 25 e 32 anni).

Effetti devastanti

«Le conseguenze dei dca sono depressione, limitazione della vita sociale e lavorativa, compromissione di apparati cardiaco e gastrointestinale, osteoporosi, morte per arresto cardiaco o suicidio e le cause di morte sono collegate alle complicanze mediche e all’alto tasso di atti suicidiari» spiega Dalla Ragione. Famiglie e operatori sanitari sono inoltre preoccupati perché si muore di più nelle regioni del nostro Paese dove mancano le strutture specializzate nella cura e nell’assistenza a questo tipo di patologie, e ciò rende ancora più devastanti gli effetti della malattia che deve essere presa per tempo, anche attraverso un’adeguata prevenzione: sono solo 126 gli ambulatori multidisciplinari censiti dall’Iss nel 2023 e dislocati soprattutto al Nord (sono 63, di cui 20 in Emilia Romagna e 15 in Lombardia), mentre al Centro se ne trovano 23 (di cui 8 nel Lazio e 6 in Umbria) e 40 invece sono distribuiti tra Sud e Isole (12 in Campania e 7 in Sicilia). «Il governo ha rifinanziato per il 2025 il Fondo nazionale per il contrasto dei Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione – afferma la psichiatra –ma attendiamo ancora di vedere i Dca inseriti nei Livelli essenziali di assistenza (Lea)». Resta il fatto che i centri sono insufficienti rispetto al numero crescente di pazienti che necessitano di terapie appropriate e posti per i ricoveri, nei casi più gravi.

Una patologia complessa

«I disturbi del comportamento alimentare sono una patologia complessa – dice Livia Pisciotta, membro del Consiglio direttivo della Società italiana di nutrizione umana (Sinu) – Sono classificati come una malattia psichiatrica per cui devono essere diagnosticati prioritariamente dallo psichiatra e trattati da equipe multidisciplinari, in quanto comportano come conseguenze patologie importanti, che possono compromettere seriamente la salute di tutti gli organi e apparati del corpo (cardiovascolare, gastrointestinale, endocrino, ematologico, scheletrico, sistema nervoso centrale, dermatologico) e, nei casi gravi, portare alla morte. Una volta identificato il problema è indispensabile, quindi, un approccio multidisciplinare e integrato e garantire la continuità delle cure, che possono durare anni o anche tutta la vita. Dobbiamo continuare a costruire una rete di prevenzione e protezione – aggiunge Pisciotta – un percorso comune e condiviso, che va dall’informazione alla diagnosi precoce e alla cura, in base alla gravità del quadro clinico». Negli ultimi tempi, segnalano gli esperti, si è ampliato lo spettro dei disturbi alimentari, con nuove patologie emergenti che si aggiungo alle più diffuse anoressia (rifiuto ostinato di nutrirsi) e bulimia (grandi abbuffate seguite da un forte senso di colpa), come vigoressia (l’dea distorta di vedersi troppo magri e poco muscolosi), pregoressia (donne in gravidanza si sottopongono a diete restrittive), drunkoressia (grave abuso di bevande alcoliche a digiuno), ortoressia (ossessione maniacale e malsana per i cibi puri).

Le esperienze sul campo

Il dottor Leonardo Mandolicchio, psichiatra e psicoterapeuta dell’età evolutiva, è direttore del Centro Disturbi Alimentari e della Nutrizione dell’Istituto Auxologico di Piancavallo, in provincia del Verbano-Cusio-Ossola, uno dei più all’avanguardia in Italia, e si occupa soprattutto di riabilitazione intensiva. «Nel nostro centro abbiamo un reparto riservato ai minori, con 55 posti letto, e uno agli adulti con 33, gli accessi sono in continuo aumento – dice Mandolicchio – e le richieste di ricovero arrivano da ogni parte d’Italia. La degenza dura dalle quattro alle sei settimane, poi c’è il lavoro degli ambulatori. Il problema più grave da affrontare? La mancanza di presa in carico globale dei pazienti sul territorio, la maggior parte di loro, infatti, non è agganciato a un percorso di cura». Perché riconoscimento e trattamento precoce sono essenziali. «Anoressia, bulimia, binge eating disorder sono problemi di salute pubblica che stanno colpendo ragazzi sempre più giovani di ambo i sessi. Una diagnosi chiara e precoce aumenta notevolmente la possibilità di cura – osserva Gabriele Sani, responsabile del Dipartimento di Psichiatria della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs di Roma – Le ripercussioni sulla vita fisica, psichica e relazionale possono essere gravi e compromettere un normale sviluppo psicofisico, creando a volte alterazioni mediche anche croniche».

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