venerdì 20 ottobre 2023
Il racconto degli operatori del Gruppo Abele: sono le famiglie a rivolgersi ai nostri centri quando non ce la fanno più. Fondamentale è la prevenzione, nelle scuole e negli spazi pubblici
Operatori del Gruppo Abele fanno attività di formazione a Torino con gli studenti

Operatori del Gruppo Abele fanno attività di formazione a Torino con gli studenti - Collaboratori

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Un giocatore perde sempre, non solo il denaro ma anche la dignità, il tempo, la vita. Pensionati, disoccupati e lavoratori precari sono “statisticamente” i più esposti alla distruzione di se stessi attraverso slot machine, videopoker, gambling online: spinti dal desiderio di riscattarsi sperano di vincere, diventare ricchi e rimettersi in “gioco” invece precipitano senza pietà negli abissi dell’angoscia e della disperazione, spesso fino alle estreme conseguenze, il suicidio. Se nessuno li aiuta.

«Il gioco d’azzardo non è un vizio ma un virus molto contagioso da cui non è facile guarire» sostiene don Luigi Ciotti, fondatore di Libera e del Gruppo Abele, associazione impegnata da anni anche a sostenere concretamente le vittime delle scommesse e le loro famiglie. «È un problema di salute che si attacca alle personalità fragili – aggiunge Pasquale Somma, consilier in ambito socio-educativo e operatore del Gruppo Abele –, i giocatori patologici spendono fino all’ultimo centesimo lo stipendio, dilapidano i risparmi di una vita, fanno terra bruciata intorno a sé, perché amici e parenti perdono la fiducia che prima nutrivano in loro».

Ma come nasce questa forma di dipendenza? «Vanno sottolineati tre passaggi: si scommette sempre denaro o oggetti di valore, la vincita non avviene mai perché si è bravi ma sempre per caso (e questo alla lunga provoca distorsioni cognitive) e, infine, si entra in un vortice di gioco compulsivo dal quale non si riesce più a venire fuori». Il gioco, in fondo, è una droga... «Beh, il problema sorge proprio quando, all’inizio, si vince: è come la prima “pippata” di cocaina – spiega Somma –, può piacere, è una scarica di adrenalina, e allora si va a cercare sempre quell’effetto inebriante, ma non si troverà mai, anzi ci si rimarrà imprigionati dentro una gabbia e sarà impossibile chiedere aiuto se non agli strozzini, ci si indebiterà fino al collo, compiendo gesti incoscienti: è allora che hai toccato il fondo, i familiari ti cacciano da casa, gli altri ti trattano come un appestato».

Insomma, la disperazione prende il sopravvento. «Sappiamo, in base all’esperienza maturata in questi anni nell’ambito del progetto “Vite in gioco”, attraverso gli sportelli d’accoglienza e l’attività della linea telefonica attivata per offrire consulenze in materia di lotta all’azzardo, – afferma l’operatore del Gruppo Abele – che durante questa fase critica può esserci una richiesta di aiuto, mossa dalla consapevolezza che bisogna farsi curare e per questo ci appoggiamo ai medici del Serd (i servizi per le dipendenze patologiche presso le Usl), perché serve una diagnosi sulla personalità del soggetto che presenta stati di ansia, depressione.

Da qui si comincia a ricostruire, lavorando sulle motivazioni che hanno spinto a giocare d’azzardo». Ma nella stragrande maggioranza dei casi sono le famiglie a rivolgersi ai centri del Gruppo Abele presenti nel comprensoriom di Torino, quando non ce la fanno più a sostenere psicologicamente il loro congiunto o hanno già subito gravi conseguenze sul piano economico. Ma è possibile sostenere finanziariamente le famiglie colpite da questo flagello? «Noi le aiutiamo anche, con l’aiuto di esperti, nel conteggio dei debiti fatti a causa del gioco per poter ottenere i benefici, gli sgravi, previsti dalla legge n.2 del 2012 sul sovraindebitamento». Si tratta di una normativa finalizzata a risolvere le situazioni di incapacità ad adempiere alle obbligazioni assunte da un soggetto riconosciuto come affetto da un disturbo di gioco d’azzardo patologico con «compromissione clinica significativa».

L’attività prevista dal progetto “Vite in gioco”, condotto dai volontari e dagli educatori del Gruppo Abele ha come obiettivo anche l’avvio di un percorso di conoscenza e collaborazione con le realtà sociali e la promozione di momenti aperti alla cittadinanza, con incontri nei parchi pubblici, nelle scuole, nelle strutture di accoglienza, nei centri culturali.

E non va dimenticato che la piaga sociale del gioco d’azzardo è anche un esito della presenza diffusa della malavita che si tuffa anche in questi proficui affari, come risulta anche dai rapporti della Direzione investigativa antimafia nei quali si sostiene che al «settore dei giochi e delle scommesse sono andati a polarizzarsi gli interessi di tutte le organizzazioni mafiose, dalla camorra alla ‘ndrangheta, dalla criminalità pugliese a cosa nostra, in alcuni casi addirittura consorziandosi tra di loro».

Gestiscono (e taroccano) le macchinette mangiasoldi negli esercizi pubblici, hanno messo le mani anche sulle sale da gioco, sui punti scommesse e sulle piattaforme online. Riciclaggio del denaro sporco, ma non solo. Le mafie biscazziere investono in nuove “imprese”, guadagnano, estorcono denaro ai giocatori “fortunati” o lo prestano a tassi d’usura a quelli che si trovano con l’acqua alla gola. Cifre da capogiro, una fetta consistente di quei 40 miliardi che rappresentano il fatturato annuo di “Mafia Spa”.

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