sabato 7 febbraio 2009
Baldassarre: uno scontro che poteva essere evitato Mirabelli: nessun problema di costituzionalità Vari: ci sono i presupposti per il provvedimento Olivetti: il presidente è uscito dalle sue funzioni Costituzionalisti d’accordo: era urgente e necessario.
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Sull’urgenza e la necessità di un decreto­ legge e ancor più sulla sua costituziona­lità ci sono tutta una serie di controlli ai quali il presidente della Repubblica non può sostituirsi. C’è il Parlamento, che sul primo punto può esprimersi in sede di conversione entro 60 giorni. C’è soprattutto la Corte costi­tuzionale, se viene investita della questione. Ed è proprio da alcuni ex presidenti della Con­sulta e da esperti di questa branca del diritto che arrivano perplessità sull’operato del Col­le. Non tanto sul suo tentativo di persuasione affinché non fosse utilizzato lo strumento del­la decretazione d’urgenza, quanto sul rifiuto di adeguarsi alla decisione del Governo. Secondo l’articolo 77 è l’esecutivo ad avere l’e­sclusiva responsabilità, ricordano. E a chi, co­me il costituzionalista del Pd Stefano Ceccan­ti, invoca l’articolo 87 della Carta per dare al Ca­po dello Stato la possibilità di non firmare, l’ex presidente della Consulta Antonio Baldassar­re ricorda che «quell’articolo va interpretato in armonia con altri, come appunto il 77. Iso­larlo dal resto non mi pare un metodo corret­to ». Per Baldassarre «quello che accade è gra­ve, perché introduce un confitto che si risol­verà con la delegittimazione dell’uno o del­l’altro potere. Una cosa di cui l’Italia non sen­tiva proprio il bisogno e che poteva essere e­vitata con un po’ di ragionevolezza». Anche un altro ex presidente della Consulta, Cesare Mi­rabelli, ritiene lo scontro «molto forte». In più non ravvisa nel testo licenziato dal Consiglio dei ministri problemi di costituzionalità. «Ha una funzione in qualche misura dilatoria, non si contrappone alla decisione giudiziale e non la vanifica. È una sorta di moratoria e garan­zia. Tanto più in un settore come quello della volontaria giurisdizione, nel quale ci sono provvedimenti e autorizzazioni che non pas­sano in giudicato». «Non v’è dubbio che il pre­sidente abbia il potere di suggerire e consi­gliare, indipendentemente dalle forme. Ma, con tutto il rispetto per la sua altissima figura, i presupposti per l’emanazione del decreto ci sono», afferma l’ex vicepresidente della Corte Massimo Vari. «Davanti a una formale delibe­razione dell’esecutivo è normale che il presi­dente proceda all’emanazione. Siamo, dun­que, davanti a un deliberato rifiuto e a un fat­to gravissimo. Il presidente è chiaramente u­scito dalle sue funzioni. Ha mancato a un suo dovere costituzionale», è l’opinione di Marco Olivetti, docente di Diritto costituzionale all’U­niversità di Foggia. Sul fatto che il Quirinale non potesse interve­nire a bloccare il decreto è netto anche Bal­dassarre: «Basta leggersi i classici della mate­ria, a partire dal saggio sul decreto legge di E­sposito, un maestro», spiega. «Piena libertà di far conoscere le sue perplessità. Soprattutto prima. E, quindi, di persuadere il governo. Ma questo ha la fiducia della maggioranza e la le­gittimazione democratica, quindi deve avere la parola definitiva. Non il presidente, che non è la Corte costituzionale», prosegue Olivetti. Mirabelli, poi, giudica i rilievi del Colle «non tali da escludere un provvedimento d’urgen­za ». Anche perché, sostiene, «una cosa è det­tare una disciplina sostanziale, nella quale si regolano diritti fondamentali, altro è un prov­vedimento che introduce un elemento di cau­tela e garanzia». Come appare essere invece il decreto, il quale, ultimo rilievo, «pur na­scendo evidentemente dalla situazione che si è creata, è impostato come lettura di caratte­re generale che riguarda tutte le persone in quelle condizioni e quelle che devono com­piere atti su di esse». Non, insomma, un in­tervento ad personam. Sull’aspetto dell’urgenza su un caso singolo Vari, poi, non concorda sul fatto che esso non basterebbe a motivare la necessità di un de­creto. «A parte il valore assoluto di una vita, c’è una giurisprudenza della Corte che definisce la straordinarietà: eventi naturali, comporta­menti umani, o anche atti e provvedimenti di pubblici poteri. È nel contesto della vita so­ciale, non nel dibattito parlamentare che va ricercata la situazione da tutelare nelle more dell’emanazione di una legge». Infine, «quan­do ci sono in ballo lesioni gravissime alla Co­stituzione si può giustificare una presa di po­sizione del Quirinale. Però, sugli articoli cita­ti – 3, 13 e 32 – ci sono due punti di vista». E anche la vita è un valore costituzionalmente garantito. Anche su uno dei precedenti di lettere invia- te per rifiutare un decreto – resi noti ieri dal Quirinale – Baldassarre ha da obiettare. Casi di divergenze «ci sono stati, ma si sono risol­ti bonariamente. Non è il governo che si deve adeguare. Nel caso dell’intervento di Pertini si realizzava un vulnus gravissimo della Co­stituzione, perché senza di esso non si sa­rebbe tenuto un referendum che era piena­mente legittimo. Ma non è questo il caso». Napolitano invece, conclude Olivetti, i de­creti «finora li aveva sempre emanati. Tran­ne in un caso, all’epoca del governo Prodi, che accolse i suoi rilievi in materia di Giusti­zia. C’è probabilmente una ragione ideologi­ca per questo rifiuto e ciò fa sì che il Capo del­lo Stato venga meno alla sua funzione di ga­rante della Costituzione per ritornare ad es­sere uomo di parte». 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