mercoledì 6 novembre 2013
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​Vanno in scena le ultime scaramucce attorno alla data del voto sulla decadenza di Silvio Berlusconi. E sulla stessa scena fa la sua comparsa l’ipotesi della grazia. Se ne è parlato da tempo: ma stavolta a dirlo nero su bianco è il Cavaliere medesimo. Via Bruno Vespa, al quale nel suo libro in uscita il leader del centrodestra affida queste parole: «Mi dicono che per avere la grazia bisogna aver iniziato a scontare la pena». Dunque, Napolitano «sarebbe ancora in tempo».

Al momento, ricorda lo stesso conduttore di Porta a Porta (che dando notizia dell’intervista al Cavaliere non ne specifica, però, la data) non è stata presentata alcuna domanda da parte di Berlusconi, della sua famiglia e dei suoi avvocati. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ricevette riservatamente il 9 agosto Gianni Letta e Franco Coppi, difensore del Cavaliere, per un sondaggio discreto sulla possibilità della grazia. Ed essi interpretarono positivamente in questo senso un passaggio del messaggio del Capo dello Stato del 13 agosto. Ma poi non se ne è più parlato. E il mese scorso il Quirinale ha, anzi, definito «ridicole panzane» la notizia, pubblicata da un giornale, che Napolitano avrebbe tradito un "patto" con Berlusconi per concedergli la grazia. Anche all’uscita ieri dell’anticipazione, l’ipotesi che si è profilata (a parte Antonio Di Pietro che ha replicato con un plastico «faccia di bronzo») non è stata commentata da nessun esponente politico. Forse perché giudicata futuribile, rispetto alle grane del domani più prossimo: quelle legate al voto del Senato per far decadere il Cavaliere da senatore.

I contrapposti fronti ieri si sono sfidati a colpi di calendario. Sel e Cinque stelle hanno presentato proposte di modifica a quello uscito dalla Conferenza dei capigruppo, la quale ha deciso a maggioranza che l’aula voterà il 27 novembre. I primi volevano anticipare alla prossima settimana. M5S ha chiesto un’ulteriore accelerazione, chiedendo che si andasse al voto già ieri (come preludio alla sfiducia, chiesta per dopodomani, al ministro Cancellieri). Ma l’aula ha respinto entrambe le proposte.

«Il voto sarà il 27 novembre a scrutinio palese dopo la legge di Stabilità», aveva annunciato il capogruppo del Pd, Luigi Zanda, al termine della riunione. La prima lettura della legge di Stabilità dovrebbe concludersi in Senato entro il 22 novembre. Dunque, la partita si chiuderà a fine mese. Con quello che il Pdl teme sia un trabocchetto: votata la stabilità il Cav perderebbe qualunque residua arma per evitare la sua sorte. E frappone un’ultima linea di resistenza per impedire che il suo leader perda l’immunità parlamentare: il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri, pur votando a favore del 27 novembre, ha detto che conta ancora di sospendere la procedura della decadenza, facendo valere presunte irregolarità commesse dal grillino Vito Crimi (ha postato messaggi durante una riunione a porte chiuse) nella seduta della Giunta per le elezioni e le immunità, che ha dato il 4 ottobre scorso un preventivo disco verde alla decadenza.

«Il consiglio di presidenza del Senato riaffronterà prima del 27 novembre la nostra pregiudiziale sulle irregolarità nel voto in Giunta», ha detto Gasparri. «È una questione inesistente che non ha alcuna chance di essere accolta», ha ribattuto Zanda. Sul punto è stato lo stesso Crimi a rigettare in aula le accuse di parte pidiellina. «Capisco che gli strumenti informatici non sono nella vostra disponibilità diretta e percepisco la vostra ignoranza, perché non sapete che su Facebook e Twitter si può programmare il giorno e l’ora della pubblicazione dei post», la veemente difesa. Il nodo della regolarità del voto in giunta sarà affrontato oggi proprio in un consiglio di presidenza del Senato appositamente convocato. «Saremo vigili e intransigenti sulle decisioni e i loro effetti», promette il capogruppo pdl Renato Schifani.

 

Nei giorni scorsi è stata sollevata la questione se il voto in aula dovrà essere segreto o palese. Su questo si è espressa la giunta per il Regolamento decidendo che il voto sia palese in quanto questione che attiene problemi connessi al plenum di palazzo Madama e non una questione personale. In questo secondo caso avrebbe prevalso il criterio del voto segreto, come da regolamento.

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