mercoledì 7 ottobre 2020
Tutte le sere la processione degli immigrati ospiti del centro d’accoglienza di Isola: così si sistemano in un vecchio capannone fatiscente per poi essere arruolati dai caporali locali
Immagine d’archivio del Cara che ospita migliaia di richiedenti

Immagine d’archivio del Cara che ospita migliaia di richiedenti - Ansa

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Strada statale 106 jonica. Località Sant’Anna, all’altezza dell’aeroporto, poco prima di Isola di Capo Rizzuto. Sono passate da poco le 19. Una lunga fila di immigrati cammina sul margine della strada. Sono decine, probabilmente più di cento. In gran parte africani subsahariani, ma anche bengalesi. Sono usciti dall’enorme Cara, il centro che attualmente ne ospita poco meno di mille. Alla spicciolata e in piccoli gruppi. Qualcuno in bicicletta, in gran parte a piedi.

Portano uno zainetto, qualcuno ha borsoni e buste. Accade tutte le sere. Li abbiamo visti anche sotto la pioggia che tre settimane fa ha colpito questa area col Medicane, la tempesta di tipo tropicale che dopo aver sfiorato la Calabria (180 millimetri di pioggia e 4mila fulmini) ha devastato la Grecia. Pioggia o non pioggia, in cento e più, ogni sera gli immigrati, richiedenti asilo, si mettono in cammino. La destinazione sono alcuni capannoni abbandonati.

Dovevano essere il “consorzio del legno”, prometteva ben 236 posti di lavoro. Fondi pubblici, 50 milioni di euro. Posa della prima pietra in pompa magna nel dicembre 2003, ma non ha mai prodotto un centimetro di legno. L’11 novembre 2006 i capannoni, mai terminati, sono stati sequestrati nell’operazione “Wood line”, truffe e loschi affari con la ’ndrangheta, in particolare col clan Arena, potentissima famiglia di Isola di Capo Rizzuto, col coinvolgimento di imprenditori e dirigenti del Comune. Da allora sono rimasti vuoti, scheletri di cemento, simbolo dell’ennesimo spreco e degli ennesimi affari mafiosi, con complicità politiche e imprenditoriali. I primi a usarli sono stati proprio gli immigrati. Ma come “alloggio”, indegno e disumano.

La fila di migranti che, la sera, esce dal Centro per andare a dormire in una baraccopoli e poter lavorare nei campi il giorno successivo

La fila di migranti che, la sera, esce dal Centro per andare a dormire in una baraccopoli e poter lavorare nei campi il giorno successivo - .

Ogni sera escono dal Cara che li ospita e raggiungono i capannoni. E lì dormono. Lasciano i letti e il tetto sicuro del Cara per giacigli di fortuna, con qualche materasso recuperato tra i rifiuti, nei capannoni senza infissi, senza acqua e luce. Qualcuno ha creato delle stanze con alcuni teli, una parvenza di privacy. Tutto appare incredibile e assurdo. Perché? Lo capiamo all’alba, quando li vediamo uscire dai capannoni per raggiungere piazza Berlinguer (un nome che stride), “la rotonda”, dove sperano di essere arruolati da caporali e imprenditori, presi per andare a lavorare nei campi. Sfruttati e in nero, ovviamente, per non più di 20 euro al giorno. Qualcuno ha un contratto, ma per quattro ore al giorno mentre in realtà ne lavora dieci. Soprattutto a raccogliere finocchi, la produzione tipica di Isola, ma anche pomodori e altri ortaggi. Non potrebbero andarci restando al Cara? No. Uscire all’alba non è permesso, la sera sì.

E poi i capannoni sono più vicini alla rotonda. Così escono dal Cara, restano fuori 48 ore (questo è permesso), rientrano per una notte e poi ritornano nei capannoni. Tutto consentito, purtroppo: non va contro le regole, ma contro la dignità umana. Ma l’importante per gli immigrati è lavorare, ci spiegano. Per questo ci sono andati anche con la pioggia. Un fenomeno visibile a tutti, eppure nessuno interviene per bloccare questo ennesimo sfruttamento. Pensare che nel maggio 2017 l’operazione “Jonny” fece emergere gli affari degli Arena sul Cara, la drammatica condizione degli immigrati, costretti alla fame. Coinvolti anche l’ex parroco di Isola di Capo Rizzuto, don Edoardo Scordio, e il presidente della Misericordia che gestiva il Cara, Leonardo Sacco, prima arrestati e poi condannati rispettivamente a 14 e 17 anni per associazione mafiosa. La conseguenza fu anche lo scioglimento del Comune per condizionamento mafioso il 24 novembre 2017.

Ora a gestire il Cara è la Croce rossa, ma restano queste criticità, oltre a quelle legate alle dimensioni del centro, una gigantesca “discarica” di persone, molto comoda dopo la chiusura dei Cara di Mineo e Castelnuovo di Porto, in particolare nell’emergenza Covid. E ora quello che avviene davanti agli occhi di tutti. Nessuno interviene, nessuno blocca il “cammino” dei migranti, nessuno controlla il mercato delle braccia alla rotonda. Eppure non si tratta di irregolari ma di richiedenti asilo, ospiti dello Stato, alcuni anche da più di un anno, per le note lentezze burocratiche. Bloccati come pacchi. Così escono per guadagnarsi qualche euro e diventano “invisibili”, anche se sotto gli occhi di tutti.

Così diventa normale anche l’anormalità. Anche i capannoni sequestrati e abbandonati sono sotto gli occhi di tutti. Nessun progetto di recupero. Ormai degradati (il Medicane li ha ulteriormente danneggiati), tanto varrebbe abbatterli, eliminando un ennesimo “non luogo” per gli immigrati, monumento all’illegalità. E mentre nell’aeroporto non atterra quasi più nessun aereo, altro simbolo di cattiva amministrazione, lungo il confine con le piste l’interminabile fila degli immigrati urla l’ennesima violenza su persone, vittime di chi non vuole vedere. Due facce della stessa inaccettabile medaglia.

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