sabato 28 marzo 2020
Tra chi è senza paracadute, educatori e operatori sociali impiegati nei servizi pubblici sotto diverse forme di esternalizzazione. Nella stessa posizione i lavoratori dello spettacolo
Una riunione di lavoro

Una riunione di lavoro - Archivio

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Sono molte le categorie rimaste escluse dal decreto “Cura Italia”: i co.co.co e le partite Iva iscritte alle Casse previdenziali professionali (dai geologi agli architetti, dai medici agli avvocati ai giornalisti), persone costrette a lavorare in nero o a chiamata, autonomi che guadagnano troppo poco per permettersi una partita Iva, colf, badanti. Ma anche lavoratori intermittenti del Terzo settore e dello spettacolo. Tra le categorie escluse, per esempio, educatori e operatori sociali impiegati nei servizi pubblici, sotto diverse forme di esternalizzazione. Le stazioni appaltanti (Comuni, Ausl/Ats eccetera) potranno pagare gli enti gestori attraverso i fondi già stanziati e messi nel bilancio preventivo – e questa disposizione «è sicuramente più tutelante per lavoratori e lavoratrici», sostengono i diretti interessati – perché né la Cassa in deroga né il Fis (Fondo di integrazione salariale) possono garantire la copertura al 100% del salario. Assistenza educativa domiciliare e servizi per la disabilità non possono aspettare e non possono certo essere svolti tramite telelavoro.
Sulla stessa posizione i lavoratori dello spettacolo, che chiedono una continuità salariale, anche attraverso il sostegno per il pagamento di affitti, bollette e ai nuclei familiari. Sono circa 200mila i lavoratori intermittenti dello spettacolo esclusi dal decreto. Si tratta di lavoratori che hanno sempre versato i contributi per il Fis, ma che si trovano in concreto esclusi dalle misure di sostegno dell’ultimo decreto ministeriale. Ecco perché artisti e tecnici hanno deciso di realizzare un video “denuncia” che lancia l’hashtag #nessunoescluso e invita a firmare la petizione promossa dalla Fondazione Centro Studi Doc (oltre 40mila le firme raccolte finora) che dall’inizio della pandemia si batte a tutela dei lavoratori intermittenti dello spettacolo, ormai in ginocchio da quando, il 23 febbraio scorso, sono stati chiusi tutti i teatri e annullati tutti i tour e gli eventi. Se una parte di lavoratori autonomi può contare sul sostegnouna tantum di 600 euro per il mese di marzo, i lavoratori dipendenti e intermittenti dello spettacolo vedono sfumare la possibilità di avere riconosciuti i propri diritti. Questo perché nell’articolo 38 del dl sono chiarite le indennità per i lavoratori dello spettacolo: 600 euro esentasse per il mese di marzo a quelli che hanno lavorato almeno 30 giornate in gestione ex– Enpals e con un reddito inferiore a 50mila euro nel 2019. Ma non devono avere un trattamento pensionistico né un rapporto di lavoro dipendente alla data del 17 marzo. Ciò significa che i lavoratori intermittenti che erano dipendenti anche se senza lavoro a quella data, non possono avere accesso all’indennità a cui si riferisce il decreto. Inoltre, nonostante il rapporto sia dormiente tra una chiamata e l’altra, avendo un contratto in essere non possono nemmeno avere accesso alla disoccupazione Naspi. Inoltre, non possono accedere neanche al Fis dell’Inps per i periodi con mancanza di lavoro, a cui tutti gli intermittenti versano il contributo ogni mese.

Come possibile soluzione, la Fondazione Centro studi doc chiede che i lavoratori intermittenti possano accedere alla Cassa integrazione in deroga. Secondo l’articolo 22 del “Cura Italia” sono le Regioni che devono deliberare in merito. Per ora, in attesa delle linee guida dell’Inps, solo alcune Regioni hanno deliberato che alla Cigo possano avere accesso anche i lavoratori intermittenti.

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