
Agenzia Romano Siciliani
La Settimana sociale di Trieste continua a parlare al Paese, con il suo carico di riflessioni e proposte sulla “crisi democratica”, sempre più evidente a osservare le ultime tornate elettorali e referendarie. Un bagaglio ora raccolto in un “volume” - presentato ieri presso la Camera di commercio di Trieste - che ha l’ambizione di essere qualcosa di più del tradizionale archivio di atti, ma un ulteriore foglio di lavoro per avanzare sulla strada dell’impegno per il bene comune.
Per molti aspetti, è come se l’incontro dei mille delegati riunitisi lo scorso luglio a Trieste non si fosse mai interrotto. Oggi come un anno fa le parole-chiave, ricorda il vescovo Enrico Trevisi, sono «protagonismo, anticorpi allo scollamento e partecipazione intesa come impegno profondo sul sangue e sulla carne degli uomini e delle donne di oggi».
La kermesse di luglio 2024, apertasi con l’intervento del capo dello Stato Sergio Mattarella, fu conclusa dall’incontro con papa Francesco. Sia il Quirinale sia Bergoglio invitarono a curare la «democrazia malata». Oggi il lavoro prosegue all’ombra di un pontificato, quello di Leone XIV, che ha riportato sotto i riflettori la Rerum novarum, e dunque la riconfigurazione delle priorità intorno alle grandi sfide del lavoro e della giustizia sociale.
Non è facile, ammette Giovanni Grandi, professore di Filosofia morale e membro del Comitato scientifico delle Settimane sociali (organismo presieduto da mons. Luigi Renna, arcivescovo di Catania, e di cui è segretario l’economista della Cattolica Sebastiano Nerozzi). I nodi, spiega Grandi, sono soprattutto quattro: «La difficoltà nel coinvolgere i più giovani ed avvicinarli alla partecipazione agli impegni della vita democratica, una formazione socio-politica “di base” debole nelle parrocchie, uno iato tra impegno personale e “organizzazione della speranza”, un vuoto nel “luogo intermedio” dei partiti».
A fronte di questi innegabili affanni, per Elena Granata, vicepresidente del Comitato e urbanista al Politecnico di Milano, la via è passare «dai solventi ai leganti». Dalla Settimana sociale, spiega Granata, emerge «la consapevolezza che nella società contemporanea agiscono abitudini e comportamenti solventi, che sciolgono e impoveriscono il legame sociale. Da qui - prosegue - la necessità di nuovi leganti, formati, meccanismi, spazi, luoghi, metodi capaci di rinsaldare il legame sociale e produrre pensiero condiviso».
Il tema è tornare a fare Politica con la P maiuscola, ma per riuscirsi, oltre alla formazione, servono «nuovi legami intergenerazionali e un nuovo contatto tra società civile, corpi intermedi e politica».
La questione del «noi», che ha attraversato l’intera Settimana sociale, è dunque anche il filo-rosso che unisce ogni singola pagina del volume che ne raccoglie gli atti. Anche perché, conclude Granato, solo il «noi» è il soggetto adatto a fare quegli «esercizi di lettura della realtà» di cui in questo momento il Paese è molto povero. Anche se Granata non nega che è difficile orientarsi senza un «pensiero fondativo capace di ispirare chi si impegna. Un pensiero che però è anche dentro la storia del cattolicesimo italiano ed europeo.
Un pensiero che affonda le radici nella Rerum novarum, appunto, di cui ha illustrato l’attualità mons. Luis Okulik, vicario giudiziale della diocesi di Trieste e segretario della Commissione per la Pastorale Sociale del Consiglio delle Conferenze episcopali europee. «Fin dai suoi primi insegnamenti - dice Okulik - papa Leone XIV ci ricorda che questo è per noi il momento di agire, di condividere in modo più efficace il nostro impegno per la giustizia sociale». Ma, avverte Okulik, «ogni impegno per continuare ad approfondire e sviluppare la dottrina sociale diventa possibile soltanto se la Chiesa rimane se stessa, fedele alla sua missione».
Alla Chiesa italiana e al Paese viene affidato ora il volume di Trieste. In particolare 19 raccomandazioni e ben 230 proposte concrete maturate dagli oltre mille delegati. Tra tutte, una priorità: «Dare voce a chi non ha voce».