giovedì 12 gennaio 2017
I fratelli Occhionero si difendono: «Non abbiamo spiato né rubato dati»
Il Centro Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche (Ansa)

Il Centro Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche (Ansa)

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«Non è roba mia: quei 18mila nickname nel mio pc, chi mi dice che non me li abbiate messi voi con un malware, violando la mia privacy». È una difesa con contrattacco, quella di Giulio Occhionero, l’ingegnere nucleare 45enne iscritto alla massoneria agli arresti da lunedì, insieme alla sorella Francesca Maria, con l’accusa di aver carpito, dal 2012, un’enorme mole di dati (oltre 18mila files su 1.700 personalità, enti e società diverse) da un migliaio di computer di istituzioni, politici, aziende infettati col virus «Eyepyramid », trasferendoli in server custoditi negli Usa. Ieri a Regina Coeli, durante l’interrogatorio di garanzia del gip Maria Paola Tomaselli, i due si sono difesi: «Non abbiamo mai rubato dati, né svolto attività di spionaggio». Pure Francesca Maria, la sorella 49enne, si difende: «Sono laureata in chimica, non so usare il computer, non sono ricca, ho una 500 usata e da due anni cerco lavoro».

Postale, rimosso il capo.

Fonti investigative confermano quanto trapelato martedì: fra giugno e luglio, gli accessi fraudolenti alle mail dell’allora premier Matteo Renzi, dell’ex premier Mario Monti e del governatore della Bce Mario Draghi furono solo tentati, senza effettive intrusioni in smartphone o computer. Tuttavia, il capo della Polizia Franco Gabrielli ha sostituito il direttore della Polizia postale Roberto Di Legami (che va all’Ucis, l’ufficio centrale sicurezza del Viminale) con la prima dirigente Nunzia Ciardi. Alla base della decisione, l’aver sottovaluto la portata dell’indagine (in corso da marzo 2016) senza informare per tempo i vertici del Dipartimento di pubblica sicurezza.

Le password negate.

Occhionero ha detto no alla richiesta delle password di accesso ai server sequestrati dal Fbi a Prior Lake, Minnesota, e a Salt Lake City, in Utah: «Non ve le darò, voglio rispettare la mia privacy, la soluzione dovete trovarla voi». Per avere accesso ai files, la procura di Roma ha inviato una rogatoria. Stessa difficoltà per i computer in Italia: i due fratelli hanno cancellato o bloccato molti dati a ottobre, durante le perquisizioni dei poliziotti. L’ingegnere nega pure di avere chiesto mesi fa a un poliziotto (ora indagato per favoreggiamento) di informarsi su investigazioni a suo carico.

La «Westland» e la pista negli Usa.

A cosa servivano i dati raccolti? E i due fratelli li accumulavano in proprio o per qualcun altro? È il doppio interrogativo su cui ruotano le indagini. «Non ho mai voluto spiare nessuno, le informazioni mi servivano per la mia attività di consulente finanziario in Borsa – ha detto Giulio al gip –. Mi occupo di derivati e le informazioni mi servivano per le mie ricerche... Negli scatoloni troverete solo la vecchia contabilità delle mie imprese». Una pista porta verso gli Usa (di cui Francesca Maria ha la cittadinanza) e dove si trovavano i server. Molti file viaggiavano via mail registrate su domini gmx.com. ed erano reinoltrati verso un account del dominio hostpenta.com, collegati ad altri riconducibili all’ingegnere. La ragnatela vede al centro la Westlands Securities, società registrata a Malta nel 1998 ma con un ufficio anche a Londra, che dà consulenze finanzia- rie a banche. Nel dedalo di società, figurano domini intestati alla «Marashen», che ha sede nel Delaware, stato Usa con leggi simili ai paradisi fiscali. S’indaga anche rispetto all’attività dell’ingegnere nella massoneria (è stato 'venerabile maestro' di una loggia romana e aveva una cartella di file sui vertici del Grande Oriente d’Italia) e su possibili legami con la «P4», il presunto comitato d’affari clandestino al centro di un’inchiesta dei pm di Napoli.

«Accertamenti» in Vaticano.

Il direttore della Sala stampa vaticana, Greg Burke, ha riferito che le autorità investigative della Santa Sede stanno «facendo accertamenti», rispetto alle notizie giudiziarie sulla possibile «compromissione» di due pc in uso a collaboratori del cardinale Gianfranco Ravasi e su altri della «Casa Bonus Pastor», struttura alberghiera di proprietà del Vicariato di Roma.

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