giovedì 1 giugno 2023
Passo avanti nel filone d'inchiesta sulla lentezza nell'intervento in mare. La procura di Crotone indaga su alcune persone e ha disposto perquisizioni negli uffici di Frontex, Gdf e Guardia costiera
Il relitto del naufragio avvenuto a Steccato di Cutro il 26 febbraio scorso. Furono 94 le vittime accertate, una trentina di dispersi e 81 sopravvissuti

Il relitto del naufragio avvenuto a Steccato di Cutro il 26 febbraio scorso. Furono 94 le vittime accertate, una trentina di dispersi e 81 sopravvissuti - Ansa

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La consegna, negli uffici della Procura di Crotone, è quella del silenzio. Ma la notizia, a metà giornata, filtra comunque, attraverso alcune scarne righe di agenzia. C’è un primo passo in avanti nel filone d’inchiesta per accertare se vi siano responsabilità, omissioni o ritardi rispetto al mancato soccorso in mare al caicco turco Summer Love, naufragato a Steccato di Cutro all’alba del 26 febbraio, con 94 vittime accertate, una trentina di dispersi e 81 sopravvissuti. La procura della Repubblica di Crotone ha infatti deciso di iscrivere i primi nomi nel registro degli indagati.

Il procuratore capo Giuseppe Capoccia conferma che agli indagati siano stati notificati alcuni decreti di perquisizione, ma non fornisce elementi su numero, identità e ruolo degli indagati (potrebbe trattarsi di persone con incarichi in autorità che hanno compiti di soccorso marittimo) e nemmeno sulle ipotesi di reato contestate. La decisione è stata assunta dopo aver vagliato a lungo le documentazioni, gli atti, i brogliacci e i registri operativi relativi a quella notte, forniti ai pm dalle autorità preposte a intervenire in situazioni di soccorso in mare e di sorveglianza sulle frontiere marittime.

Perquisizioni a Gdf e Guardia costiera

Il decreto di perquisizione, emesso dal sostituto procuratore Pasquale Festa (titolare dell'indagine) è stato eseguito dai carabinieri del nucleo investigativo del Comando provinciale di Crotone. Già nei giorni scorsi, gli investigatori avevano depositato in Procura diversi documenti forniti all’inizineo degli accertamenti da Frontex, Guardia Costiera e Guardia di finanza. Ora avrebbero acquisito ulteriore documentazione presso il Roan della Gdf di Vibo Valentia e la capitaneria di Porto di Reggio Calabria, prelevando forse anche hard disk di computer e memorie di altri dispositivi e telefoni cellulari (insieme a materiali presumibilmente finora non esaminati ai fini dell’inchiesta).

«Più che vere e proprie perquisizioni, stiamo eseguendo dei riscontri puntuali su elementi che ritenevamo mancanti per completare l’indagine», precisa il procuratore, smentendo inoltre un’indiscrezione diffusasi in mattinata circa una visita degli investigatori presso Frontex (l’agenzia europea per il controllo delle frontiere, con sede centrale a Varsavia): «Non sono state effettuate perquisizioni nei confronti di Frontex - fa sapere Capoccia -, ma il quadro generale dell'indagine è quello».

A inizio marzo, dopo l’apertura di un primo fascicolo per disastro e omicidio colposo a carico dei presunti scafisti, era stato aperto questo secondo filone d’indagine sulla macchina dei soccorsi, in quel momento senza indagati né ipotesi di reato. Poi è iniziata l’acquisizione della documentazione. La vedetta ferma in porto.

La vedetta ferma in porto​

In uno dei passaggi del decreto di perquisizione si menziona una «telefonata intercorsa alle ore 23:49 tra l’operatore del Roan della Guardia di Finanza di Vibo Valentia e il capo turno della sala operativa della Guardia Costiera, registrata sul server del Mrsc di Reggio Calabria». Nel dialogo, «l’operatore del Roan, su indicazione dell’Otc di turno, notiziava l’operatore della CP dell’impiego della ‘vedetta 5006’». E questi gli «riferiva che, sebbene in quel momento non era presente alcuna loro imbarcazione in mare, avrebbe potuto allertare una unità dispiegata presso l’Ucg di Crotone o, in alternativa, presso l’Ucg di Roccella Ionica», ricevendo «rassicurazioni da parte dell’operatore della Guardia di Finanza».

E sempre dal decreto si apprende con sconcerto che, «nonostante quanto riferito alla sala operativa della Capitaneria di porto e attestato» dall’operatore di turno, «dall’annotazione redatta del comandante della vedetta V.5006, emergeva che la predetta imbarcazione, in quei momenti, lungi dall’essere in navigazione alla ricerca del target, si trovava, in realtà, all’interno del porto di Crotone».

Omissioni e responsabilità? ​

Complessivamente l’inchiesta della procura di Crotone tenta di fare luce sulle possibili cause del mancato soccorso in mare all’imbarcazione stracarica di migranti, poi naufragata su una secca davanti alla spiaggia di Steccato. Come Avvenire ha segnalato in diversi articoli successivi al naufragio, ci sono passaggi da ricostruire con chiarezza nella catena di comunicazioni e di eventi fra le 23 circa del 25 febbraio, quando un aereo di Frontex sorvolò il barcone, avvistandolo a circa 40 miglia dalle coste calabresi in una condizione di mare mosso, e le 4.10 del mattino seguente, quando lo scafo si disintegrò scontrando la chiglia contro il fondale basso a poche decine di metri dal bagnasciuga.

Quali erano le regole di ingaggio e quali i compiti delle diverse strutture? Perché inizialmente l’operazione venne trattata come un intervento di polizia marittima, nonostante le condizioni meteo allarmanti, tanto che le vedette della Gdf uscirono e poi rientrarono, per via del mare grosso? Perché la Guardia costiera si attivò solo dopo 5 ore? Ci furono ritardi, omissioni, rimpalli di responsabilità o i protocolli furono eseguiti secondo le norme? Domande aperte, per le quali l’inchiesta sta cercando risposte.

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