giovedì 6 giugno 2013
Pancreas ricostruito nel midollo osseo. Il tessuto endocrino ha attecchito e funziona Lo studio, supportato dal Miur, ha ottenuto il placet del Centro nazionale trapianti ed è stato finanziato dal ministero della Salute.
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Fino a oggi, il midollo osseo aveva accolto trapianti di cellule staminali ematopoietiche in pazienti affetti da malattie come la leucemia. I ricercatori dell’Irccs San Raffaele di Milano hanno dimostrato, per la prima volta al mondo, che questo particolare "ambiente", il midollo osseo, appunto, può essere utilizzato per ricostruire una parte del pancreas. La scoperta, che ha ottenuto il placet del Centro nazionale trapianti e il supporto della Comunità europea e del ministero dell’Università, ha una valenza eccezionale perché sposta il limite della ricerca e delle relative conseguenze terapeutiche nel trattamento del diabete. Tanto che il lavoro, finanziato dal ministero della Salute, ha trovato spazio sulla più prestigiosa rivista di diabetologia al mondo, Diabetes.Gli specialisti sono partiti dal trapianto di cellule pancreatiche, utilizzato per curare il diabete e che viene eseguito sia nei pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1, refrattario alla normale terapia, sia in quelli colpiti dal più pericoloso tipo "3c", che anche con le più moderne terapie insuliniche, è difficilmente controllabile. Se invece in quello "classico", di tipo 1 e 2, il danno, come spiegano dal San Raffaele, «è sostanzialmente limitato alla cellula (denominata beta) che produce l’insulina», nel tipo 3c «vengono meno sia la cellula beta, sia tutte le altre cellule endocrine che risiedono nel pancreas». Quando questo avviene, la qualità della vita del paziente subisce serie ripercussioni e sale il rischio di complicanze anche gravi, come il possibile coma ipoglicemico.Ma con la scoperta eseguita a Milano, la storia terapeutica dei pazienti che affrontano queste patologie potrà cambiare. Ecco come: modificando la procedura che normalmente viene utilizzata per il trapianto di isole pancreatiche nel malato diabetico di tipo 1, i ricercatori «hanno recuperato dal pancreas prelevato chirurgicamente, le cellule endocrine, "ricostruendolo" nel midollo delle ossa dello stesso paziente, a livello del bacino e ottenendo una sorta di "organo puzzle"». Risultato: il tessuto endocrino, impiantato nel midollo di quattro pazienti, «ha attecchito e funzionato» – con un periodo di osservazione di 3 anni –, dimostrando per la prima volta che questa procedura «è eseguibile, sicura ed efficace».Così Lorenzo Piemonti, responsabile del Programma di trapianto di isole e dell’Unità della Biologia delle Beta cellule al Diabetes research institute del San Raffaele, spiega lo studio: «L’approccio utilizzato in questi pazienti è innovativo e dimostra per la prima volta che è possibile per un tessuto non ematopoietico, e nella fattispecie endocrino, sopravvivere e funzionare in un ambiente molto particolare come quello del midollo osseo, dove normalmente vivono le cellule staminali del nostro corpo dedicate principalmente alla creazione del sangue». Si tratta dunque di un risultato che «potrebbe aprire in generale scenari inaspettati nel campo della medicina rigenerativa». Per Fabio Ciceri, responsabile dell’Unità di Ematologia e Programma trapianto Cellule staminali del nosocomio scientifico milanese, «è straordinario vedere come questo ambiente sia in grado di accogliere altri tipi di tessuti».Di ricadute terapeutiche parlano Gianpaolo Balzano e Paolo Maffi, primi autori dello studio e responsabili, rispettivamente, delle Unità di Chirurgia pancreatica e di Trapianto isole: «Prevenire l’insorgenza del diabete post-chirurgico mediante l’uso del tessuto autologo è un concetto innovativo che offre una nuova prospettiva terapeutica ai pazienti con malattie del pancreas». Ancora Piemonti: «La nostra speranza è che il microambiente del midollo osseo possa essere utilizzato anche nei pazienti con diabete di tipo 1 sottoposti a trapianto allogenico da donatore d’organo. Grazie a questa prima esperienza, abbiamo potuto iniziare uno studio clinico anche in questi pazienti. Presumibilmente avremo i primi risultati a partire dal 2014. Ma si dovrà tener conto della reazione del sistema immunitario».
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