venerdì 30 marzo 2018
Gina visse suo figlio «come una disgrazia», poi «ho capito d'avere il mio piccolo Gesù». Filippo, senza fissa dimora: «Con pazienza e coraggio raggiungeremo il premio finale»
Il senzatetto, il bimbo malato... ecco le voci di chi porta la croce. Oggi

Non vuole spostare il nostro appuntamento. Stanno operando suo figlio, ha cinque mesi, una malformazione aortica congenita che stringe la trachea e crea problemi seri di respirazione. Andiamo lo stesso nel “castello” del Bambin Gesù, il parco giochi. E mamma Debora racconta qual è la strada che porta dalla Croce alla resurrezione: «Il Signore ci ha donato questa croce. Accettarla è stato difficile, com’è difficile ogni giorno vedere mio figlio che soffre. Ma abbiamo una certezza, Dio non ci abbandona. Non so quando, i tempi li deciderà Lui, ci farà vedere la resurrezione nella nostra vita».

Cristo è coloro che hanno il capo reclinato, le mani e i piedi spaccati dai chiodi, sono appesi a una croce,eppure la abbracciano. Filippo sorride. Ha ottant’anni, era un insegnante, è un senza fissa dimora ospitato dalla Caritas romana nella “Cittadella della carità”. «Ci ha detto “prendi la tua croce e seguimi” – spiega -, significa che con pazienza e coraggio si può affrontare la vita, perché quella strada ci porta al risultato finale, alla resurrezione. E proprio questa grande speranza ci fa sopportare la croce che via via ci viene assegnata».

Andrea è un ragazzo autistico non verbale, «cioè come un bambino piccolo che non parla, pur avendo trent’anni, e non è autonomo», spiega Gina, sua madre. All’inizio questo figlio lo ha vissuto «come una disgrazia, come davvero una croce da portare». Poi cambia tutto. Quasi d’improvviso «ho capito d’essere fortunata ad avere con me il mio piccolo Gesù, come a volte mi viene da chiamarlo», dice Gina. E aggiunge: «Quelle che noi consideriamo disgrazie, si possono trasformare in grazie». Perché «sappiamo che Gesù è risorto, allora anche noi possiamo risorgere dalle nostre croci».

Croci, al plurale. Sì, perché possono essercene tante e diverse. File ha diciotto anni, capelli crespi e pelle scura: «Io porto la croce perché mio Paese non è buono, c’è guerra. Sono scappato, sono partito dalla Libia su barcone, molti amici morti, ragazze, ragazzi, anche bambini morti. Barca rovesciata». Sono le dieci di sera e File fra sei ore partirà per l’Olanda. È contento, prepara la sua poca roba: «Possiamo risorgere anche noi».

«Gesù Crist sta croce ce la dà gross!»: Adriano di anni ne ha sedici, cresce al “Parco Verde” di Caivano, sprizza sorriso e napoletanità. «Sono nato in un quartiere abbastanza malfamato – dice -. Sì, è vero, siamo in croce. Però c’è la via della resurrezione. E poi quando penso a Cristo, che segna la mia vita, penso alle persone umili. Come noi».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI