mercoledì 22 dicembre 2021
A centinaia i Comuni che hanno deciso di anticipare la chiusura delle scuole causa coronavirus. Il nodo del tracciamento mancato e la spinta sui vaccini tra i più piccoli
A scuola al tempo del Covid

A scuola al tempo del Covid - Siciliani

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Si fa presto, purtroppo, a tornare al passato. E mentre centinaia di Comuni da Nord a Sud hanno già deciso autonomamente di chiudere le scuole con anticipo “causa Covid” (o per l’aumento dei casi, o per il mancato tracciamento da parte delle Asl in caso di focolai), ecco che l’ipotesi buttata lì nel solito dibattito televisivo dall’infettivologo Massimo Galli ha sollevato un polverone di reazioni e critiche: «Francamente – ha detto – ci sarà da pensare eventualmente a una procrastinazione delle vacanze da scuola se le cose vanno male o malissimo. Non sto sollecitando un ritorno alla Dad, ma suggerendo di pensare ad un possibile, maggiore iato, soprattutto per tutte quelle fasce non vaccinate e non vaccinabili». Insomma, la curva dei contagi torna a crescere? Si può cominciare col chiudere, o tener chiuse a oltranza, le scuole.

I dati parlano chiaro: l’incidenza dei casi è aumentata vertiginosamente nelle ultime settimane tra giovani e giovanissimi, in particolare nella fascia degli under 10. Questo, naturalmente, perché oltre a vivere quotidianamente in comunità i più piccoli rappresentano la fetta di Paese che – non per propria volontà – ancora non ha ricevuto il vaccino, almeno finora. Così il Covid, molto prima dell’arrivo di Omicron, s’è infilato dove trovava posto più facilmente: non solo nelle classi (dove a dire il vero i bambini indossano sempre la mascherina), ma soprattutto nelle palestre, alle feste di compleanno, nei pomeriggi passati con gli amici a giocare.

E ha iniziato a dilagare, complice un sistema di tracciamento da parte delle aziende sanitarie locali che non ha mai davvero saputo garantire quanto previsto per decreto dal governo per arginare la Dad: controlli a tappeto su tutti i compagni di classe di un caso positivo, controlli-bis a cinque giorni, chiusura delle sezioni soltanto nel caso di due o tre positivi. Nemmeno il “rinforzo” promesso dal commissario all’Emergenza Figliuolo in persona ha cambiato le carte in tavola. Risultato: il sistema – lo hanno denunciato più volte gli stessi presidi – ha finito col collassare di nuovo, non certo per colpe imputabili alle lezioni in presenza.

Ora le vacanze di Natale arrivano come manna dal cielo: il governo lo sa, e ai tavoli delle autorità sanitarie l’aspettativa sugli effetti dell’interruzione delle lezioni (che vuol dire soprattutto meno mobilità sui trasporti pubblici e nelle città, oltre che meno relazioni tra i ragazzi) è altissima. Al vantaggio dei quasi venti giorni di stacco – le lezioni riprenderanno solo lunedì 10 gennaio – si aggiunge l’effetto vaccinazioni: molte famiglie hanno deciso di prenotare la prima dose nella fascia 5-11 dopo le festività, segnate da spostamenti e riunioni di famiglia. Col risultato auspicato di un rientro sui banchi più “protetto”.

Allungare le vacanze, tuttavia, è un’ipotesi di cui il premier Draghi dovrebbe non voler sentir parlare: la strategia di questo governo ha sempre avuto come priorità la scuola in presenza, anche quando i ministeri dell’Istruzione e della Salute un mese fa hanno tentato “il colpo di mano” di un ritorno al vecchi sistema un positivo uguale Dad per tutti. Sicuramente chi non vuole prendere nemmeno in esame la proposta è il mondo della scuola: «Tenere i ragazzi a casa non porterebbe a grandi risultati» ha commentato perentorio il capo dei presidi Antonello Giannelli.




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