venerdì 30 luglio 2021
I dati Pfizer indicano che dopo 6 mesi gli anticorpi da vaccino diminuiscono: «Serve un altro richiamo». Israele apripista, con gli over 60. In Italia si accende il dibattito
Terza dose di vaccino, la scelta che divide

Ansa

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Come è ormai consuetudine tocca ad Israele fare da apripista. Neanche il tempo di acquisire i pareri favorevoli degli enti regolatori, ed ecco che, da domenica, il ministero della Sanità renderà disponibile la terza dose di vaccino Pfizer, su base volontaria, ai cittadini di oltre 60 anni, già immunizzati, a condizione che siano trascorsi oltre cinque mesi dalla somministrazione della seconda iniezione. Israele è il primo Paese al mondo a compiere un passo simile. Mercoledì un team di esperti aveva consigliato all’esecutivo guidato da Naftali Bennet di passare alla distribuzione della terza dose dopo aver notato un «calo» nell’efficacia del vaccino fra quanti sono stati immunizzati sei mesi fa. Il primo a ricevere la terza dose sarà il capo dello Stato Isaac Herzog.

Non tutti sono pronti a seguire l’esempio israeliano. Al momento l’ente regolatore europeo, l’Ema, dichiara che «è troppo presto per confermare se e quando ci sarà bisogno di una dose di richiamo, perché non ci sono ancora abbastanza dati dalle campagne vaccinali». Mentre la maggiore organizzazione sanitaria del mondo, l’Oms, è ancora più tiepida, invitando a «pensare ai Paesi poveri», che non hanno ancora fatto le prime dosi o non dispongono addirittura di vaccini. Dal canto suo, la Commissione Europea fa sapere che sta opzionando nuove dosi per farsi trovare pronta. «Siamo consapevoli del fatto che potrebbero essere necessaria una terza dose», e «abbiamo concluso un terzo contratto con Pfizer-BioNTech, che prenota 1,8 miliardi di dosi». Scorte che potrebbero servire anche per «la lotta alle varianti o se dovessimo vaccinare altri gruppi, come giovani e bambini». «Per essere preparati – aggiunge una portavoce da Bruxelles – abbiamo anche esercitato l’opzione per 150 milioni di dosi per il secondo contratto con Moderna. Nel frattempo continuiamo a seguire la situazione con l’Ema. Come sempre, le decisioni che prendiamo saranno basate sulla scienza». Dice di non avere elementi per asserire se serva o meno una terza dose, l’amministratore delegato di AstraZeneca, Pascal Soriot, per il quale «ci sono due dimensioni dell’immunità: gli anticorpi, che calano con il tempo, e la seconda, importantissima, le cellule T, che tendono a proteggere le persone dalla malattia grave ma offrono anche durata nel tempo».

In Italia la discussione sull’opportunità della nuova inoculazione è sul tavolo del ministro della Salute, Roberto Speranza, che starebbe pensando ad un primo via libera per alcune categorie: le persone fragili, gli immunodepressi e gli operatori sanitari, che hanno iniziato a vaccinarsi dallo scorso 27 dicembre. «È molto probabile che ci sia una terza dose, a 12 mesi dalla seconda. Queste sono le indicazioni che abbiamo oggi», informa il sottosegretario Andrea Costa parlando della popolazione in generale. Ma, considerando che in alcuni si può verificare «una riduzione degli anticorpi dopo 6 mesi – è il parere dell’altro sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri –, bisognerà fare un richiamo» prima; «è possibile che ogni anno si debba fare un richiamo come per l’influenza».

La comunità scientifica italiana contempla la possibilità di effettuare il nuovo richiamo ma attende riscontri aggiornati. «Bisogna pensarci, perché siamo, me compreso, verso la fine» della copertura «e comincia a vedersi anche personale sanitario, come altri cittadini, positivo», ammette il virologo dell’Università di Milano Fabrizio Pregliasco. Tuttavia, oltre al personale sanitario, evidenzia il direttore del dipartimento di Malattie infettive del Policlinico Umberto I di Roma, Claudio Mastroianni, occorrerà considerare come prioritarie le categorie degli «immunodepressi, dei trapiantati» e «chi non sviluppa una adeguata risposta anticorpale». Prima di ogni decisione, però, precisa il primario di Malattie infettive del San Martino di Genova, Matteo Bassetti, «dovremmo vedere i dati delle seconde dosi e capire chi ha ancora gli anticorpi». Al momento «non ce ne sono a sufficienza per dire che andrà fatto». Meno transigente il collega dell’ospedale Sacco di Milano, Massimo Galli, per il quale senza una accurata «valutazione della presenza di anticorpi», l’ulteriore somministrazione «è una solenne baggianata: non la farei perché non ha senso».

Sul fronte del contagio, continuano ad aumentare i positivi: 6.171 nelle ultime 24 ore (+475 rispetto a mercoledì). I tamponi processati sono 224.790, con il tasso di positività che registra un incremento passando dal 2,3% al 2,7%. 19 i nuovi decessi, (contro i 15 di 24 ore prima) che portano a 128.029 il numero totale delle vittime dall’inizio della pandemia. Le persone vaccinate in Italia sono poco più di 31,5 milioni, pari al 53,3% della popolazione.

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