sabato 8 gennaio 2022
Il ministro Bianchi: nessun ripensamento sulla riapertura. Ma Regioni e Comuni vanno in ordine sparso. Il governo impugna l’ordinanza della Campania che vuole tenere chiuse elementari e medie
Studenti all'uscita del Liceo Classico Statale Giuseppe Parini, a Milano

Studenti all'uscita del Liceo Classico Statale Giuseppe Parini, a Milano - Fotogramma

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Alla vigilia del ritorno in classe, lunedì, della maggioranza degli alunni (anche se già ieri alcune scuole hanno riaperto in Lombardia, Emilia Romagna, Friuli, Marche, Toscana e in provincia di Trento), a regnare è l’incertezza più assoluta. Alle dichiarazioni ufficiali del ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, che lunedì incontrerà i presidi e anche ieri ha ribadito che non ci sarà «nessun ripensamento sul ritorno a scuola in presenza», fanno da contraltare le ordinanze di Regioni e Comuni che spostano più in là, addirittura e febbraio, la ripresa delle lezioni in classe, annunciando già che queste prime settimane saranno in didattica a distanza.

Lo ha fatto, per esempio, il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, secondo cui «è irresponsabile aprire le scuole il 10 gennaio». «Per quello che ci riguarda – ha annunciato durante una diretta Facebook – non apriremo le medie e le elementari. Non ci sono le condizioni minime di sicurezza», ha avvertito il governatore campano. Secondo fonti di Palazzo Chigi, il governo è comunque intenzionato a impugnare la decisione del presidente De Luca. Per l’impugnativa, viene spiegato, è però necessario un passaggio in Consiglio dei ministri.

Un appello al governo a rinviare la ripresa delle attività in presenza è lanciato anche dal presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci e di vero e proprio «caos» sul fronte della scuola, parla il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, che punta il dito contro la fase di tracciamento e di testing, «insostenibili» stando alle ultime disposizioni dell’esecutivo. Soltanto in Veneto, ricorda Zaia, ci sono circa 2.400 classi in quarantena. «Poi ci sono i docenti in quarantena – aggiunge il governatore veneto – altri in malattia e quelli non vaccinati. In questo brodo primordiale non so che cosa venga fuori, perché abbiamo grosse difficoltà. Le scuole apriranno il 10 gennaio, perché così è stato deciso e la situazione sarà quella che molte classi saranno chiuse e altre saranno in Dad».

Secondo una stima di Tuttoscuola, realizzata sulla base degli attuali circa 300mila alunni contagiati in tutta Italia, delle 369mila classi di scuola statale, circa 200mila nella settimana dal 17 gennaio in poi potrebbero essere chiuse, con gli alunni in Dad.

Uno scenario che preoccupa fortemente anche i sanitari, con il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici, Filippo Anelli, che chiede ufficialmente di posticipare l’apertura delle scuole di 15 giorni, recuperando poi a giugno. Questo, spiega Anelli, per cercare di contenere l’aumento dei contagi e dei ricoveri che sta mettendo a dura prova il Servizio sanitario nazionale.

Intanto, continuano a crescere le adesioni alla lettera-appello dei presidi al premier Draghi, affinché decida di posticipare la ripresa in presenza di almeno due settimane, che ieri ha superato le 2.200 sottoscrizioni. «Sarà come andare alle Termopili», dice il presidente lombardo dell’Anp, Matteo Loria. Secondo un sondaggio promosso in questi giorni dall’Associazione lombarda dei dirigenti scolastici, mediamente in ogni scuola ci sarà una decina di docenti in meno, tra malattia e personale sospeso perché non vaccinato, che in tutta la Lombardia raggiunge quota 2.500 dipendenti.

Questo clima di incertezza, che favorisce la confusione e il nervosismo, preoccupa anche la segretaria generale della Cisl Scuola, Maddalena Gissi, che rilancia un «patto di corresponsabilità» tra scuola e famiglia: «Bisogna che anche le famiglie assicurino la massima collaborazione, anzitutto favorendo la più ampia copertura vaccinale».

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