mercoledì 7 aprile 2021
Scoperto il meccanismo di interazione tra l'organo e il Sars-CoV-2. I ricercatori: ci sono cellule che, se attaccate, diventano a loro volta veicolo di infezione; ora lavoriamo a nuovi farmaci
Il gruppo di ricerca guidato da Maurizio Pesce

Il gruppo di ricerca guidato da Maurizio Pesce - Istituto Cardiologico Monzino

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Il coronavirus attacca sia direttamente sia indirettamente il cuore. E per farlo gode del supporto di due "alleati": le cellule stromali, molto diffuse nell’organo, che possono veicolare l’infezione; e un recettore cellulare, chiamato "Ace2", che determina la minore o maggiore capacità di replicazione del virus. La scoperta è importante perché svela il meccanismo di interazione tra il Sars-CoV-2 e il motore del nostro corpo. Merito dei ricercatori italiani di due istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs): il Centro cardiologico Monzino di Milano e l’Istituto malattie infettive Spallanzani di Roma. Lo studio "Cardio-CoV", finanziato dalla Regione Lombardia, ha trovato spazio sulla rivista Cardiovascular Research, della European Society of Cardiology, e apre alla possibilità di trovare farmaci che blocchino sia la replicazione virale sia l’infiammazione.

Gli esperti, coordinati da Maurizio Pesce, responsabile dell’Unità di ricerca in Ingegneria tissutale cardiovascolare del Monzino, hanno dunque confermato che le cellule stromali possono essere attaccate direttamente dal virus, diventando così veicolo di infezione. Allo stesso tempo, indipendentemente dai livelli di Ace2 (che, come detto, determinano la capacità di replicazione del virus), le stromali possono reagire all’invasione del Covid-19 attivando una importante risposta infiammatoria. Questo «duplice effetto conseguente all’interazione tra virus e stromali», spiegano i due ospedali, può spiegare variabilità e complicanze cardiache nei casi più gravi di Covid.

«Il Sars-CoV-2 ha manifestato, sin dall’esordio della pandemia, il potere di innescare gravi problemi cardiaci, come aritmie e scompenso, in alcuni casi persistenti anche dopo la guarigione – spiega Pesce –. Per questo ci siamo concentrati sull’interazione fra virus e cuore, e in particolare sulle cellule stromali». La loro caratteristica principale, prosegue Pesce, «è di essere protagoniste della risposta infiammatoria alla base della fibrosi e dello scompenso cardiaco, osservati in molti pazienti Covid-19. Abbiamo isolato queste cellule e le abbiamo esposte al nuovo Coronavirus in vitro»; ebbene, «il virus entra nelle cellule attraverso il recettore Ace2 e può replicarsi diffondendosi nel cuore». Allo stesso tempo, i ricercatori hanno osservato che le stesse cellule possono evolvere verso «un destino pro-infiammatorio» da cui ne conseguirebbe l’espansione del cosiddetto «tessuto fibrotico, uno dei maggiori ostacoli alla funzionalità cardiaca», osservata in molti pazienti Covid-19.
Le conoscenze acquisite grazie a questo progetto, aggiunge Alessandra Amendola, dirigente biologo del laboratorio di Virologia dello Spallanzani, «ci permettono di inserire un tassello importante nei meccanismi patogenetici alla base delle diverse manifestazioni cliniche del Covid-19, molti dei quali ancora sconosciuti. Dimostrando che un tipo di cellule cardiache, le stromali, può costituire una fonte di produzione di virus, abbiamo indicato il cuore come ulteriore bersaglio diretto, che potrebbe necessitare di specifici trattamenti antivirali precoci, sia per impedirne la diffusione, sia per limitare l’espansione del tessuto fibrotico».
Per la gestione clinica di questi pazienti, evidenzia Maurizio Pesce, lo studio suggerisce «l’utilizzo di anti-infiammatori già utilizzati negli attuali protocolli». Inoltre la ricerca, «contrariamente a quanto si pensava all’inizio della pandemia, esclude un’interazione tra terapie anti-ipertensive e gravità dell’infezione, almeno per il cuore». Lo studio ora guarda a due obiettivi: definire «nelle cellule stromali il meccanismo molecolare che causa l’espressione di Ace2 per identificare un farmaco che inibisca la replicazione virale nel cuore, e analizzare l’evoluzione infiammatoria per individuare nuovi obiettivi molecolari a cui mirare, per impedirne la progressione».

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