giovedì 14 agosto 2014
Rifiuti tossici e metalli pesanti in dieci sorgenti. La devastazione ambientale nel Casertano: sversate dalla camorra tonnellate di stagno, berillio e idrocarburi provenienti dalle industrie del Nord: quattro indagati.
COMMENTA E CONDIVIDI
I veleni della camorra sono arrivati nei pozzi. Ormai ci sono le prove. Così ieri a Casal di Principe è scattato il sequestro di dieci pozzi risultati inquinati da tonnellate di rifiuti industriali interrati dal clan dei 'casalesi' negli anni ’80 e ’90. La conferma, purtroppo, che in questa terra si è bevuta o usata per l’agricoltura acqua avvelenata. Il sequestro di ieri è l’ultimo atto dell’indagine coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli e condotta dai carabinieri del Nucleo operativo della compagnia di Casal di Principe e del Nucleo operativo ecologico di Caserta. Inchiesta non terminata e che vede indagati quattro esponenti dei 'casalesi', fazione Schiavone, ritenuti responsabili del reato di adulterazione di acque con l’aggravante del metodo mafioso. Tra di loro i boss Walter Schiavone e Francesco 'Cicciariello' Schiavone, rispettivamente fratello e cugino del capoclan Francesco Schiavone, noto come 'Sandokan'. L’indagine è partita dalle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia e dal ritrovamento di una grande quantità di rifiuti. Il primo passo è stato il riscontro delle dichiarazioni sullo sversamento di rifiuti speciali e pericolosi con l’individuazione di un sito inquinato in via Circumvallazione a Casal di Principe. Qui nel settembre 2013 e nel febbraio di quest’anno sono  stati effettuati scavi che hanno accertato, attraverso analisi sulle particelle di terreno, la presenza di stagno, berillio e idrocarburi pesanti oltre la soglia di contaminazione, e anche di amianto, ben noto per la sua pericolosità. Passo successivo l’analisi delle acque sotterranee dei dieci pozzi ieri sequestrati. Analisi che ha permesso di accertare la contaminazione della falda come conseguenza dell’interramento illecito dei rifiuti industriali. Infatti sono risultati superiori alla Csc (Concentrazione soglia di contaminazione) i parametri di manganese, solfati, tricolorometano, tetracloroetilene, sommatoria organo alogenati, tribromometano, dibromoclorometano, 1,2 dicloropropano, zinco, piombo, nitriti e nitrati. Un vero cocktail pericolosissimo. I pozzi sequestrati sono stati affidati ai proprietari dei terreni sui quali insistono, nominati custodi giudiziari con i relativi obblighi di legge, che prevedono l’assoluto divieto di utilizzo dell’acqua per fini alimentari e agricoli. Un grosso problema visto che l’area interessata è in gran parte di case abusive, non allacciate alla condutture comunali e per questo dotate di pozzi autonomi, in gran parte anch’essi abusivi. Non si fermano, dunque, le indagini contro chi ha avvelenato per decenni questo territorio, ma anche le azioni di risanamento, soprattutto grazie al prezioso coordinamento del viceprefetto Donato Cafagna, commissario per il fenomeno dei roghi di rifiuti in Campania. Proprio Cafagna nei giorni scorsi ha inviato una lettera ai sindaci che hanno aderito al Patto per la 'Terra dei fuochi' per dare l’avvio a una nuova fase di interventi finalizzati proprio alla pulizia a riqualificazione delle aree interessate dai cosiddetti 'abbandoni storici di rifiuti', quelli più vecchi e ricorrenti. Si tratta di opere che interessano aree individuate dagli stessi comuni e dall’Esercito nell’ambito dell’operazione 'Strade sicure per la Terra dei fuochi', e che i sindaci potranno richiedere alla Direzione ambiente della Regione Campania e alla Società regionale Campania ambiente e servizi, incaricata di realizzare un programma di riqualificazione e mitigazione dei rischi ambientali e igienico-sanitari. E ci sono anche i fondi, ben 42 milioni di euro provenienti dal Fondo sviluppo e coesione messi a disposizione dalla Regione. Con la stessa lettera il commissario 'tira le orecchie' ai sindaci dopo alcuni incendi di pneumatici e li richiama alle loro responsabilità. I comuni, infatti, pur potendo usufruire del prelievo gratuito degli pneumatici, ad opera del consorzio Ecopenueus, non intervengono tempestivamente a rimuoverli. E proprio per questo, scrive Cafagna, «appare ingiustificabile che si registrino ancora, sia pure in numero minore rispetto al passato, incendi di pneumatici». Con l’invito ai sindaci al richiamare «l’attenzione degli organi di vigilanza e di quelli incaricati del ritiro sulle aree di giacenza».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: