giovedì 9 aprile 2015
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Pubblichiamo la testimonianza di una vittima di azzardopatia, guarito grazie all’aiuto di un’associazione. Adoravo il pallone… sin da piccolo, appena avevo la possibilità di farlo, correvo a giocare a calcio con gli amichetti del quartiere. Era un quartiere piccolo con una decina di amici con i quali sono cresciuto e successivamente scoprirò fondamentali per la mia “risurrezione”. Il pallone faceva parte del gioco sano che mi permetteva di passare del tempo divertendomi con gli amici; solo anni dopo mi resi conto che esiste anche un “gioco” malato che non porta divertimento e socialità ma tragedie e solitudine. Crescendo cominciai a fare ciò che fanno in tanti: mi laureai, iniziai una relazione importante con una donna che poi sarebbe diventata mia moglie, presi un po’ alla volta le responsabilità sulle spalle. Per tanti anni riuscii a gestire la mia vita senza problemi, ma poi qualcosa cambiò lentamente. Forse la nascita di due figli gemelli, forse il non essere riuscito a fare il farmacista come avevo sempre desiderato, forse la routine della coppia, forse, anche se può sembrare strano, il dover rinunciare al calcetto con gli amici a cui tenevo davvero tanto e che mi permetteva di svagarmi dalle fatiche quotidiane. Un giorno, quasi per caso, decisi di mettere il resto della consumazione del bar in una macchinetta mentre aspettavo che terminasse la pausa pranzo. Vinsi subito! Fu una cosa davvero inaspettata e che mi fece molto piacere. Ritirai i 20 euro guadagnati e me li misi in tasca. Era solo un gioco. Il giorno dopo mi ritrovai nella pausa pranzo nello stesso luogo e decisi di riprovare la fortuna. Poi lo feci ancora e ancora nel tempo, e un po’ alla volta il tempo per il pranzo cedette spazio al tempo per il gioco. Poi non mi bastò più nemmeno quel momento. In un paio d’anni la situazione divenne molto seria, non riuscivo a smettere, mi sentivo davvero incatenato alle slot. Mi davano quell’evasione da tutto il resto e quella possibilità di adrenalina che non trovavo più in nient’altro. Trascurai la famiglia, i bimbi, gli amici e tutto il resto. La slot era diventata il mio interesse primario. Iniziai a vendere tutto ciò che poteva fruttarmi denaro, iniziai a indebitarmi dapprima con amici e parenti e successivamente con delle finanziarie che erano ben felici della mia patologia e degli interessi che mi facevano pagare. Mia moglie arrivò al punto di dirmi che avrebbe chiesto la separazione e non mi avrebbe più fatto vedere i bimbi, ma ero convinto che avrei presto sistemato tutto e l’avrei fatto proprio grazie a qualche grande vincita che prima o poi sarebbe arrivata. La mia logica, la mia cultura, la mia capacità riflessiva erano definitivamente sparite. Ero in catene e non me ne volevo rendere conto.  Un giorno i miei amici di sempre vennero in gruppo a suonare a casa mia. Capii subito le loro intenzioni, finsi di non sentire il campanello e non risposi. Ma trovarono il modo di stringermi all’angolo in un’altra occasione e di mostrarmi con estrema durezza la realtà della mia situazione. «Sei in catene» continuavano a ripetermi. Ed era vero. Grazie a loro, e da loro continuamente monitorato, cominciai a frequentare un gruppo per giocatori patologici alla Papa Giovanni XXIII di Reggio Emilia. Cominciai a riprendere in mano la mia vita, a ricucire il rapporto con mia moglie, ad andare a vedere i saggi scolastici dei bimbi, a rifrequentare gli amici, a ricontrattare il debito con le finanziarie e a cominciare a pagarlo. Un po’ alla volta riuscii a rinascere e la vita mi apparve in tutta la sua bellezza, più di quanto non fosse mai stata.  Ad alcuni anni di distanza posso finalmente dire di essere resuscitato a una vita nuova e ora la mia famiglia, il mio lavoro e i miei amici sono le cose a cui tengo di più e di cui noto quotidianamente l’importanza. Ovviamente da allora non mi faccio mai mancare una partitella a calcetto ogni tanto e ora che ne ho riassaporato il piacere credo non me la farò mancare mai più. Fabio ex-giocatore patologico
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