mercoledì 3 marzo 2021
Nella relazione al Parlamento, il focus sulle strategie di terra e di mare, dalla Tunisia alla Libia
Traffico di migranti, non c'è prova di accordo tra criminalità
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Per il traffico di immigrati non è provato un «accordo complessivo e sistematico» tra «la criminalità organizzata tunisina e quella italiana». Mentre «il presunto coinvolgimento negli sbarchi di frange del terrorismo islamico assume aspetti estemporanei ascrivibili alla iniziativa di singoli soggetti che lasciavano il Paese d’origine, ma non pare possa rientrare in una precisa strategia criminale ». È l’analisi molto prudente della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo, guidata da Federico Cafiero de Raho, nell’ultima relazione al Parlamento.

Nel capitolo intitolato 'Criminalità trasnazionale', si fa una prima importante affermazione e cioè che «l’inarrestabile flusso migratorio dai Paesi africani e – in particolare – subsahariani richiede un forte impegno politico e sociale, prima ancora che giudiziario, trattandosi di una delle emergenze più drammatiche del Mediterraneo».

Si passa poi ad affrontare la situazione libica. E, citando il Gruppo di lavoro 'Tratta ed immigrazione clandestina' della procura di Palermo, si afferma che si è potuto «verificare la piena operatività di associazioni di trafficanti con base in Libia e disvelare il vertice del coordinamento». Si tratta di «un gruppo stabile di soggetti spesso provenienti dalle milizie libiche o dalle stesse forze dell’ordine di quel Paese con modalità operative collaudate, come per esempio la pubblicazione dei viaggi sulla rete internet, la password assegnata dall’organizzazione ai barconi in transito senza la quale, la Guardia costiera libica effettua 'operazioni di salvataggio' riconducendo i migranti al punto di partenza oppure le modalità di pagamento, i solidi collegamenti sia con le case di prigionia e i relativi carcerieri che con le bande addette ai sequestro di persona, con violenza o inganno al fine di procacciare migranti e di farli confluire nel medesimo circuito». Affermazioni molto gravi, soprattutto sulle «operazioni di salvataggio» eseguite dalla Guardia costiera libica. Per quanto riguarda i «possibili rapporti tra le associazioni criminali straniere e quelle italiane» è stato possibile verificare «un unico punto di intersezione, ossia il mercato delle false assunzioni, dei falsi matrimoni e dei falsi ricongiungimenti familiari ai fini del rilascio del permesso di soggiorno». Nulla sui traffici di esseri umani. E questo vale anche per la rotta dalla Tunisia, sostiene la Dna smontando le tesi dei colleghi siciliani. «La Procura di Palermo segnala un sensibile decremento di arrivi di migranti imbarcati dalle coste libiche e un contestuale aumento di quelli provenienti dalla rotta tunisina tramite i cosiddetti 'sbarchi fantasma', realizzati da gruppi esigui di immigrati che viaggiano su mezzi più veloci e sicuri, in modo che, una volta raggiunta la costa italiana, possono avere maggiori possibilità di eludere i controlli per poi operare al di fuori dei circuiti istituzionali dell’accoglienza ». Secondo l’analisi della Dda palermitana, «nella gran parte dei casi questi sbarchi, apparentemente riconducibili a libere scelte di piccole aliquote di immigrati, sono invece il frutto inconfutabile di precisi accordi tra la criminalità organizzata tunisina e quella italiana e talvolta nascondono motivazioni collegate al terrorismo». Un’analisi che la Procura nazionale non condivide. Usando dapprima parole molto diplomatiche: «Tale ultima affermazione merita un chiarimento». Ma poi la bocciatura è netta. «Dalla documentazione nella disponibilità di questo Ufficio emerge che collegamenti fra la criminalità organizzata tunisina e quella siciliana sono stati registrati in alcuni procedimenti della Dda di Palermo, per aspetti eminentemente logistici e di reinvestimento degli illeciti profitti; si pensi al rimessaggio e al recupero dei natanti utilizzati per il trasferimento dei migranti o al reimpiego di capitali in attività commerciali in Sicilia». Ma, avverte la Dna, «tale forma di collaborazione, pur essendo stati coinvolti talora esponenti della criminalità locale, non è mai assurta al rango di un accordo complessivo e sistematico». Così come viene esclusa «una precisa strategia criminale» che coinvolga negli sbarchi «frange del terrorismo islamico». Le attività investigative hanno, infatti, «accertato che alcuni migranti intendevano sottrarsi a provvedimenti restrittivi emessi nel loro Paese per motivi di terrorismo, altri avevano nei loro cellulari immagini di propaganda o raffiguranti atti di terrorismo». Ma, scrive la Dna, si tratta di «pochi casi» mentre «la maggioranza dei soggetti coinvolti negli sbarchi si muoveva per finalità lavorative o di ricongiungimento familiare».

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