mercoledì 16 aprile 2014
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Negli Stati Uniti la loro storia di “mix up” – cioè di scambio di embrio­ni – ha campeggiato per settima­ne sui giornali, come con ogni probabi­lità farà quella del Pertini. Carolyn e Sean Savage ci si sono abituati quasi subito: troppo grande, il torto che avevano subi­to. Lei ricorda come fosse oggi quel gior­no del 2009, quando il marito salì le sca­le ed entrò in camera col volto bianco co­me un fazzoletto: «Brutte notizie. Ha chia­mato la clinica, c’è stato uno sbaglio. Il bambino non è nostro». Dalla parte di là della stanza c’è Carolyn, con la pancia ap­pena pronunciata e le riviste sulla mater­nità. «Stai scherzando, è uno scherzo». Non lo era. Come si reagisce, all’inconcepibile? Per raccontarlo, ad anni di distanza, Carolyn e Sean hanno deciso di scrivere un libro, che in America ha riscosso molto succes­so e che si intitola proprio così, Inconcei­vable, inconcepibile. Inconcepibile persi­no per due come Carolyn e Sean, che in tema di fecondazione as­sistita erano – per così di­re – preparati: dopo due fi­gli avuti naturalmente, Drew e Ryan, la coppia s’e­ra dovuta confrontare con un problema di sterilità e per la terza figlia, Mary Ka­te, che desideravano a tut­ti i costi, erano già ricorsi alla provetta (fornendo il loro materiale biologico). Da quella procedura era­no anche “avanzati” degli embrioni, che i due avevano deciso di con­gelare ma di far vivere, in futuro. E così ec­co la scelta di una quarta gravidanza, quel­la arrivata nel 2009. «I medici mi consigliarono subito di a­bortire », racconta Carolyne, che provie­ne da una famiglia molto religiosa. Sol­tanto l’idea le dà i brividi. Eppure porta­re dentro di sé «il figlio sbagliato», come lo chiama lei, è altrettanto alienante. Sen­za contare che la legge, in America, di ma­ternità surrogate e diatribe tra genitori genetici (che forniscono i gameti) e geni­tori biologici (che portano a termine la gravidanza) già nel 2009 s’è occupata di­verse volte, riconoscendo quasi sempre come siano i primi a dover essere rico­nosciuti legalmente come genitori. In­somma, quel figlio non lo potrebbe tene­re, oppure dovrebbe prepararsi a una du­ra battaglia legale. Ecco allora la scelta incredibile: «Quella che portavo in grembo era una vita uma­na e l’avremmo protetta – racconta Ca­rolyn –. Non importa se quel bimbo era nella pancia sbagliata. Non era colpa no­stra né dei suoi genitori. Io mi misi nei panni della mamma di quel bambino: co­sa avrei fatto, io, se mio figlio fosse stato nella pancia di un’altra donna? Non avrei pregato con tutta me stessa che quella donna lasciasse vivere mio figlio?». Ca­rolyn e Sean decidono di tenere il bambi­no fino al giorno del parto e poi di conse­gnarlo ai suoi genitori genetici. Di dirgli «hello» e «goodbye», allo stesso tempo, in una stanza d’ospedale. Lo spazio d’un sa­luto. Tra il dire e il fare ci sono di mezzo i mesi della gravidanza, l’incontro con i legali dell’altra coppia, Paul e Shannon Morell, la definizione dei rapporti. A Carolyn e Sean interessa solo che Logan (questo il nome scelto per il piccolo) stia bene. E gli altri genitori sembrano brave persone: «Ma se non avessi avuto i miei tre figli a so­stenermi, non ce l’avrei fatta, lo ammet­to », dice Carolyn. Sa bene quanto possa essere difficile, per chi genitore non è, ri­nunciare a un figlio. E proprio per questo, per evitare che la storia si ripeta e scompigli la vita di altre coppie, dal 2009 a og­gi i Savage passano la gran parte del loro tempo a sen­sibilizzare chi sceglie la fe­condazione sui suoi pos­sibili rischi, sulla necessità che i centri siano all’altez­za degli standard interna­zionali, sulle responsabi­lità enormi che ciascuno deve prendersi in questa “catena” di eventi delica­tissimi con cui l’uomo cerca di gestire la nascita di vite. Qual è stata la parte più difficile di questa esperienza? «Tutto, anche questo mo­mento presente – spiega Carolyn –. Com­batto ogni giorno col fatto di essere nien­te, perché il mio ruolo nella vita di questo bambino è niente, io non ho significato. Ogni giorno mi chiedo: dov’è? Come sta? Sarà malato? Avrà avuto una buona mat­tinata? ». Carolyn e Sean hanno visto Lo­gan un paio di volte. Lei gli ha scritto una lettera, che forse sua mamma un giorno deciderà di consegnargli: «Vorrei solo che sapesse quanto l’abbiamo amato, quan­to ci dà forza sapere che lui esiste. E poi che saremo sempre qui, che sarà sempre il nostro bambino anche se non è nostro figlio». Per lei – che dopo Logan ha avuto altre due figlie, gemelle, con l’utero di un’altra donna – la differenza sembra chia­ra. Quesiti della provetta, ora da spiegare anche in Italia.
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