giovedì 12 gennaio 2012
I giudici della Corte Costituzionale hanno dichiarato inammissibili tutti e due i quesiti referendari. Napolitano chiama Schifani e Fini: i partiti cambino la legge elettorale. Di Pietro all'attacco: «Sentenza per fare un piacere al Colle». La replica: «Solo volgari e scorrette insinuazioni».
E ora auguri al Parlamento di Sergio Soave
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La notizia era attesa, ma fa scalpore lo stesso: la Corte Costituzionale ha bocciato entrambi i referendum elettorali per abolire il cosiddetto Porcellum, mandando in fumo la richiesta-record di ben un milione e 200mila firme. Ci sarà ora da attendere le motivazioni e certamente conterranno una possibile via d’uscita, che può essere solo, a questo punto, un intervento del Parlamento. Ma intanto si muove con tempestività e proprio in questo senso il Quirinale, che - respinte al mittente le accuse di Antonio Di Pietro - convoca i presidenti delle Camere: «È ai partiti e al Parlamento che spetta assumere il compito di proporre e adottare modifiche della vigente legge elettorale secondo esigenze largamente avvertite dall’opinione pubblica», dice Napolitano, esprimendo la «comune convinzione» con Schifani e Fini che sia data «prioritaria attenzione alle riforme istituzionali».Un intervento che chiude una giornata che si era aperta con le polemiche di Antonio Di Pietro (fra i promotori con il democratico Arturo Parisi), scatenato dopo aver appreso il verdetto negativo. «Con la sua decisione, la Consulta ha voluto impedire al popolo italiano di scegliere quale legge elettorale vuole», diceva il leader dell’Idv, che parlava di «sentenza chiaramente politica», di «offesa a 1 milione e 200mila italiani che hanno chiesto di cancellare il Porcellum» e lanciava pesanti accuse. A suo avviso la decisione della Consulta «non ha nulla di giuridico», ma è stata assunta solo «per fare un piacere al capo dello Stato, alle forze politiche e alla maggioranza trasversale e inciucista del Parlamento». Per «non disturbare il manovratore», insomma. Accuse pesanti, senza freni. Di Pietro parlava di «rischio regime», che può essere fermato solo dal popolo «al più presto con le elezioni».Affermazioni che il Quirinale respingeva senza neanche riceverle. «Parlare della sentenza odierna della Corte Costituzionale, come qualche esponente politico ha fatto di "una scelta adottata per fare un piacere al Capo dello Stato" è una insinuazione volgare e del tutto gratuita, che denota solo scorrettezza istituzionale», era il lapidario commento fatto trapelare dal Colle.«Parole fuori luogo come al solito», quelle di Di Pietro, attacca Pier Ferdinando Casini. Peggio, da «analfabeta istituzionale», per il democratico Francesco Boccia.A caldo, dopo la sentenza (emessa dal plenum della Consulta - relatore Sabino Cassese - dopo un giorno e mezzo di camera di Consiglio), in piena sintonia con il Quirinale, già in mattinata, si era espresso invece il presidente del Senato Renato Schifani, parlando di verdetto «nel solco di una giurisprudenza già confermata in diverse occasioni». Ma, era lo sprone di Schifani, «ciò non impedisce ai partiti di dare ascolto alle richieste rappresentate da tanti italiani che hanno firmato il referendum. Ora - aggiungeva Schifani - la parola definitiva spetta alle Camere, che dovranno tenere conto dell’esigenza dei cittadini di poter scegliere da protagonisti i propri eletti. Un intervento del Parlamento sulla legge elettorale - era l’auspicio di Schifani - contribuirà a riavvicinare gli elettori ai propri rappresentanti, ponendo fine a quei fenomeni di distacco tra cittadini e politica, estremamente pericolosi per la tenuta del sistema democratico».A sera poi l’iniziativa del Colle. A conferma di una linea mantenuta da tempo. «Un diverso meccanismo elettorale - aveva detto Napolitano nel corso della sua visita a Napoli, a fine settembre - è necessario per determinare un ritorno di fiducia. L’attuale sistema ha interrotto un rapporto che esisteva fra elettore ed eletto».
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