giovedì 28 novembre 2013
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«Questo non è il giorno della decadenza, è il giorno della rinascita. Il Palazzo non mi ha mai capito e io non ho mai capito il Palazzo. I suoi riti, le sue bassezze, le sue ipocrisie, le sue cattiverie...». Lassù, dietro le finestre del grande salone di palazzo Grazioli, Berlusconi sente il rumore della piazza. Sente il suo nome ritmato, scandito: Sil-vio, Sil-vio, Sil-vio. «Li sentite? Li sentite? Un giorno di lutto si sta trasformando in un giorno di rinascita. Perché la sintonia è con loro, non con il Palazzo. La politica è laggiù, tra le mie bandiere. Ora sono libero. Ora sfido Grillo e Renzi. Ora apro le ali e do voce a tutto il malcontento che c’è nel Paese».Ore 16 e 15. Per dieci minuti Berlusconi resta, a occhi chiusi, con i suoi pensieri. Vent’anni di politica. Passaggi bui e giornate esaltanti. Delusioni e vittorie. Ore 16 e 25, è il momento. Il Cavaliere scende i grandi scalini della storica residenza a due passi da Montecitorio e, con venti parole, fa capire di non conoscere la parola resa. «Quattro volte premier, una lunga cavalcata nella storia, ma non è finita. Vado avanti, non mi ritiro, combatterò fuori dal Parlamento e lo farò con nuova tenacia e nuova determinazione». La piazza l’aspetta. Con le bandiere. Con le voci. Con l’entusiasmo. Con quel Fratelli d’Italia che qualcuno canta. «Le parole di Mameli sono impegnative: siamo pronti alla morte...». Quando la musica finisce Berlusconi "regala" un sorriso leggero e cerca tra la folla i volti amici. C’è entusiasmo, calore, voglia di ripartire. La strada è segnata e Berlusconi la ribadisce con parole nuove: «Non vado in convento, resto in campo. Anche da non parlamentare continuerò a battermi per la nostra libertà». I minuti scorrono veloci. Alla fine l’ex premier è commosso. Ascolta l’inno di Forza Italia con la mano sul cuore. Saluta. Sorride. Una smorfia malinconica gli taglia il volto. Lui la scaccia con quattro parole: «Andiamo avanti, andiamo avanti».Ore 17 e 25. Berlusconi aspetta da solo il verdetto. È un’attesa dolorosa. Segnata da parole dure, da riflessioni anche "cattive". «La sinistra ha portato il mostro di Arcore davanti al plotone d’esecuzione e ora brinda. Ma non è finita. Sono qui e sarò ancora qui. La sentenza verrà capovolta, la mia innocenza dimostrata. Non si libereranno di Berlusconi». A tratti il cavaliere vorrebbe girare il tavolo. Vorrebbe attaccare frontalmente Napolitano, Alfano, il Pd. «Ma non l’ho fatto ed è giusto così. Ho visto una piazza serena e sono felice dei toni che ho scelto. Il Paese non va infiammato, va preso per mano». Il Cavaliere sembra in trance. Immagina rivincite, studia piani, ipotizza ripartenze. Nella sua testa c’è una strategia chiara. Berlusconi vuole riaprire un "filo diretto" con la società civile, vuole sfidare Grillo sul terreno dell’antipolitica, vuole gridare i suoi no contro un’Europa egoista. Per dirla con tre parole vuole parlare alla gente. «I partiti non riescono a capire il Paese. Anche i minuti della decadenza vengono scanditi da ordini del giorno incomprensibili. Fuori dal Palazzo rinascerò e piegherò Grillo e Renzi. Già alle europee dimostreremo la nostra forza». La corsa da Roma a Milano è l’occasione per ragionare di futuro. Per mettere a tema la nuova Forza Italia. Per raccontare e raccontarsi la sfida dell’8 dicembre. Berlusconi ha deciso di tentare di oscurare le primarie del Pd con una grande manifestazione a Roma, dove presentare i primi mille club azzurri. La struttura prende forma. Tocca a Marcello Fiori, braccio destro di Guido Bertolaso ai tempi della Protezione civile, organizzarla per centrare l’obiettivo chiesto dal Cavaliere: ottomila club, uno per ogni comune. Ore 20 e 15. Ad Arcore l’aspetta la cena con i figli. Marina ha già gridato il suo sdegno. «Mio padre decade da senatore, ma non sarà certo il voto di oggi a intaccare la sua leadership e il suo impegno». E ancora. «Questo Paese e questa democrazia devono vergognarsi per quello che sta subendo». E ancora: «Questa politica si dovrà pentire di essersi ancora una volta arresa ad una magistratura che intende distruggere chiunque provi ad arginare il suo strapotere». Anche Pier Silvio ha già parlato. «Come figlio, l’amarezza è profonda perché so quello che mio padre è davvero e quanto ha fatto per il nostro Paese. Come cittadino provo un forte senso di ingiustizia. Mi auguro solo per il futuro dell’Italia che abusi del genere non vengano mai più messi in pratica contro nessun parlamentare di qualsiasi parte politica». A notte arriva anche Barbara per dire no a una «violenta estromissione avvenuta attraverso norme incostituzionali e palesi violazioni regolamentari». E per lanciare la sua sfida ai nemici del padre, agli «avversari politici» che «si illudono di avere la strada spianata verso il potere».A notte si riaffaccia minaccioso il Grande Incubo. «Penso sempre al campanello che può suonare la mattina presto... Nella follia italiana può succedere...». Berlusconi si ferma. Una pausa leggera. «Quel magistrato che decidesse di firmare il mandato d’arresto diventerebbe in un attimo il pm più famoso del mondo. La sinistra l’acclamerebbe come una icona...». Sono frasi spezzate. Frasi che interrogano. Chi è davanti a Berlusconi ci prova: «Non ti arresteranno. Non correranno il rischio di trasformarti in martire. Sanno che così Forza Italia diventerebbe in un attimo il primo partito». Berlusconi scuote la testa: «Questa giustizia è folle e io non sopporterei questa umiliazione. Ho una storia, un’età. Sarebbe uno sfregio che lascerebbe il segno».
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