giovedì 10 luglio 2014
Slitta a stamani il voto su elezione del nuovo Senato. Poi in aula. Berlusconi vedrà solo martedì i suoi. Solo al nono scrutinio si eleggerà il capo dello Stato a maggioranza.
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È il giorno dello sbarco in Aula della riforma che abolisce il bicameralismo perfetto, cambia volto al Senato  e riscrive il titolo V. Oggi, alle 16.30, i relatori Anna Finocchiaro e Roberto Calderoli presenteranno il testo e avvieranno la discussione generale. Ma prima, in commissione Affari costituzionali, ci sarà  il passaggio decisivo: la votazione sull’emendamento che sancisce la non elettività dei senatori, punto che anima le fronde di Pd e Forza Italia. I lavori di ieri hanno messo a punto due importanti interventi sulla Carta. Il primo riguarda il quorum per  l’elezione del capo dello Stato. Dopo le prime quattro votazioni che richiedono almeno i due terzi dei parlamentari, si prevedono - ecco la novità - altri quattro scrutini in cui il quorum scende ai tre quinti. Solo alla nona 'chiama' varrà la maggioranza assoluta. Una modifica voluta dalla minoranza dem più dialogante, e necessaria per evitare che il presidente della Repubblica sia frutto di una scelta unilaterale della maggioranza. Considerando che il nuovo Senato sarà composto da consiglieri regionali e sindaci, non è invece previsto l’allargamento della platea elettorale ad altri delegati provenienti dai territori. Cambia radicalmente anche l’istituto del referendum. Le firme da raccogliere passano da 500mila a 800mila (la proposta iniziale dei relatori era di 1 milione), ma scende considerevolmente il quorum necessario per rendere valida la consultazione. In pratica, è sufficiente che vadano a votare la metà più uno dei cittadini che si sono recati alle urne nelle ultime elezioni per la Camera. Previsto inoltre un parere della Corte costituzionale sulle legittimità dei quesiti posti quando il comitato arriva alle prime 400mila firme.Vengono aboliti i cosiddetti 'referendum manipolativi', che cancellano solo un pezzo della legge o pezzi di articoli. L’aumento delle firme scatena la protesta di M5S e dei radicali, che parlano di «contro-democrazia». Considerando che la commissione ha già superato lo scoglio delle funzioni del nuovo Senato, e ha tutto sommato trovato un equilibrio sui poteri che lo Stato ha sulle materie strategiche, resta il nodo della composizione di Palazzo Madama, su cui si voterà stamattina. I relatori hanno raggiunto un compromesso con il governo di questo tipo: i senatori (100, 95 più 5 di nomina quirinalizia) non sono elettivi ma scelti dai consiglieri regionali. Le Regioni piccole avranno  2 senatori, gli altri seggi saranno spalmati in base alla popolazione. Nell’assegnazione dei posti ai partiti, si terrà conto anche della composizione politica dei consigli regionali: un’integrazione, questa, che ha convinto Forza Italia e Lega. Il nuovo articolo 57 prevede che ciascun consigliere voti una sola lista di candidati formata da deputati regionali e un sindaco. La lista vincente potrà decidere di mandare a Roma il proprio primo cittadino. Il patto Renzi-Berlusconi, insomma, tiene. E l’ex-Cav. lo dimostra anche snobbando la richiesta dei suoi parlamentari di un confronto urgente. L’incontro, più volte annunciato, è rinviato a martedì prossimo, alla vigilia del voto in Aula. Il ddl intanto irrompe nel calendario dei lavori. Lunedì continuerà la discussione generale, martedì alle 13 scadrà il termine per presentare gli emendamenti, da mercoledì inizieranno le prime votazioni. Giovedì, con il voto finale, si archivierà la prima tappa del lungo iter di modifica della Carta.
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