martedì 20 luglio 2010
È quanto emerge dal rapporto del Cnel: per i giovani attivi nel mercato del lavor in Italia, il rischio di essere disoccupati è triplo rispetto a quello di persone più anziane. La ricerca evidenzia poi che nel 2010 sono a rischio 350mila posti di lavoro.
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Per i giovani attivi nel mercato del lavoro in Italia il rischio di essere disoccupati è triplo rispetto a quello di persone più anziane. A lanciare l'allarme sulla disoccupazione giovanile è il Cnel nel "Rapporto sul mercato del lavoro 2009-2010". La maggiore probabilità di essere disoccupati, spiega comunque il Cnel, caratterizza i giovani di tutta Europa, e non solo quelli italiani. Il tasso di disoccupazione giovanile è, in tutti i paesi dell'Unione Europea, decisamente più alto di quello riscontrato complessivamente; per l'area euro, il tasso di disoccupazione giovanile (quello osservato per la forza lavoro con meno di 25 anni) è pari a due volte quello complessivo, e lo stesso si osserva anche in paesi non europei, come gli Stati Uniti o il Giappone.Rispetto alle persone di età maggiore (con più di 25 anni), il tasso di disoccupazione dei giovani è più che doppio; per la media dei paesi europei, è pari a 2,3 volte quello dei più maturi, e nel nostro paese arriva a essere pari a 3 volte quello osservato per il complesso delle persone con età compresa tra i 25 e i 74 anni. Nel rapporto si evidenzia come le nuove forme contrattuali, più flessibili, abbiano facilitato l'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro: in periodi in cui la domanda di lavoro cresceva, le imprese facevano maggior ricorso a forme flessibili di impiego, dati i costi di licenziamento nettamente inferiori a queste connessi.Per coloro che sono entrati nel mercato del lavoro nell'ultimo decennio si sono quindi ridotti i tempi di ricerca prima di poter trovare una prima occupazione. Nel 2009, anno peraltro di crisi, la durata media di ricerca di una prima occupazione per giovani non esperti è stata di un anno e mezzo. L'altro lato della medaglia è stato però la maggior instabilità del posto di lavoro. Un numero crescente di giovani ha trovato impiego come lavoratore temporaneo, ovvero con un contratto di lavoro dipendente a tempo determinato oppure con una forma contrattuale indipendente. Tra i giovani occupati con meno di 25 anni, l'incidenza dei dipendenti temporanei è pari a quattro volte l'incidenza osservata presso gli adulti delle età centrali (25-54 anni); in altre parole, un giovane corre un rischio di essere occupato con un contratto a termine pari a quattro volte quello corso da un adulto.Generalmente, osserva il Cnel, i lavoratori temporanei possono fungere da "cuscinetto" per aggiustare la quantità di manodopera a seconda delle fluttuazioni della produzione. Questo fenomeno è stato particolarmente evidente nel corso dei mesi critici della crisi economica che ha colpito l'Italia sul finire del 2008. Una quantificazione del numero di lavoratori impiegati con contratti non standard tra il 2008 e il 2009 mostra infatti una variazione di segno negativo pari a 239 mila unità in meno tra i lavoratori impiegati nel segmento più flessibile del mercato (-8,6%), con flessioni particolarmente consistenti per i collaboratori (che in un anno sono diminuiti del 17%). I temuti effetti negativi legati alla diffusione dei contratti temporanei si sono alla fine effettivamente esplicitati, e i lavoratori con contratti di durata prefissata (data la possibilità di evitare i costi di licenziamento associati al lavoro permanente) sono stati i primi a pagare le conseguenze occupazionali dell'attuale crisi economica. Per quanto riguarda poi le forme di indennità, riguarda il 38% dei lavoratori a tempo determinato, il 78,9% degli apprendisti, il 50% dei titolari di contratti di formazione e lavoro, e il 47,8% dei lavoratori interinali.CRESCE LA DISOCCUPAZIONESono 350 mila i posti di lavoro a rischio nel 2010 ma potrebbero arrivare fino a 420 mila. Mentre la disoccupazione potrebbe salire all'8,7% (pari a circa 241 mila persone senza lavoro) ma nello scenario peggiore rischia di toccare il 9% (circa 315 mila persone). Naturalmente la maglia nera va al Sud da cui dipende sostanzialmente la generale contrazione degli occupati. Ma paradossalmente i disoccupati crescono al Nord. «La graduale stabilizzazione del livello delle unità di lavoro - si legge nel rapporto del Cnel - non ne impedisce una caduta nel dato medio dell'intero anno 2010 (-1,4%, corrispondenti a 343mila unità in meno che seguono alle 660mila perse nel 2009 e alle 97mila del 2008)». Nell'ipotesi peggiore, però la perdita di unità di lavoro potrebbe toccare quota 421mila.Tuttavia, precisa il Cnel, a «tale andamento delle unità di lavoro corrisponde anche una tendenza alla stabilizzazione del numero degli occupati», soprattutto nella seconda parte dell'anno. Pertanto, nel dato medio annuo l'andamento degli occupati (-0,4%) risulterebbe comunque decisamente migliore di quello delle unità di lavoro, come già accaduto nel 2008 e nel 2009. Anche le forze di lavoro, «che nel corso del biennio 2008-2009 hanno registrato una significativa contrazione, dovrebbero avviare una prima fase di stabilizzazione in coerenza con l'andamento del ciclo economico: il dato medio del 2010 potrebbe quindi già risultare positivo, con una variazione (+0,6%) sufficiente per compensare la flessione subita nel 2009».In questo scenario, con l'occupazione in leggera flessione, a fronte di un andamento leggermente crescente della forze di lavoro, spiega il rapporto, «la conseguenza più probabile è che il numero di disoccupati continui ancora a crescere. Il tasso di disoccupazione nell'ipotesi centrale sale all'8,7 per cento nel dato medio del 2010», pari a 241 mila unità (166mila (8,4%) nell'ipotesi più favorevole e 315mila (9%) in quella più sfavorevole). Solo nell'ipotesi più ottimista, secondo il Cnel, «il recupero congiunturale risulterebbe sufficiente per interrompere la fase di aumento del tasso di disoccupazione nel corso dell'anno, anche se naturalmente il valore del dato medio annuo risulta ancora in aumento».Anche nel 2010 l'andamento dell'occupazione al Sud «è nettamente peggiore rispetto alle altre aree, ampliando il differenziale, già elevato, in termini di distribuzione territoriale dei costi occupazionali della crisi». La contrazione degli occupati stimata per il complesso dell'economia italiana deriverebbe difatti principalmente dalla caduta al Sud (-1,5%) a fronte di una stabilità del numero degli occupati nel resto del paese. Nel 2010, sottolinea il Cnel, «vale però più che mai il paradosso per cui l'occupazione si riduce al Sud, ma i disoccupati aumentano al Nord, con un tasso di disoccupazione che cresce di un punto raggiungendo il valore del 6,6%, il doppio rispetto a prima della crisi».Permangono inoltre le divergenze di genere, per cui la flessione dell'occupazione è da attribuire integralmente alla componente maschile. Per le donne si stabilizza l'occupazione, ma aumenta la partecipazione, e questo si traduce in un incremento del tasso di disoccupazione. La situazione resta quindi "difficile" per le famiglie italiane poichè «le conseguenze della crisi sul mercato del lavoro non si sono ancora del tutto esaurite, e continuano a condizionarne le tendenze nel 2010».
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