sabato 2 febbraio 2019
Il prefetto chiede collaborazione alle associazioni. Primi trasferimenti il 7 febbraio
Chiude Mineo, ma col "paracadute"
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Dopo Castelnuovo di Porto ora tocca a Mineo. Ma in modo umano, graduale, coinvolgendo le associazioni di volontariato e la Chiesa, e tutelando famiglie e persone vulnerabili come bambini, donne e soggetti con disagio psichico. È la linea scelta dal prefetto di Catania, Claudio Sammartino, che in questi giorni ha incontrato le associazioni e ne ha parlato con monsignor Calogero Peri, vescovo di Caltagirone, per creare "una rete di paracadute", per evitare drammi e tensioni nel percorso verso la chiusura del grande Cara aperto nel 2011 nelle campagne di Mineo dal governo Berlusconi (ministro dell’Interno il leghista Maroni). Luogo di scandali, a partire da "Mafia Capitale", e di difficile accoglienza. Attualmente ospita 1.186 richiedenti asilo o ricorrenti, 15 titolari di protezione internazionale, 94 titolari di permesso umanitario e 8 richiedenti asilo per i quali è stata attivata la procedura Dublino.

Dal 7 febbraio si comincia a svuotare con le prime 50 partenze, poi altre 50 il 17 e altre 50 ancora il 27. Si tratta di richiedenti asilo o ricorrenti, tutti maschi, che saranno ospitati in Cas regionali, grazie alla collaborazione tra le prefetture della Sicilia orientale e occidentale. Non fuori regione, dunque, come invece avvenuto per Castelnuovo di Porto. Per gli altri più di mille richiedenti i tempi non sono stati ancora decisi. Per i 15 titolari di protezione internazionale la destinazione saranno gli Sprar, ora chiamati Siproimi. Solo loro, come stabilito dal decreto Salvini che ha escluso tutti gli altri dall’accoglienza di secondo livello, quella che garantisce servizi e integrazione. Restano i titolari di protezione umanitaria, quelli più a rischio in quanto secondo il decreto non possono più stare nei Cas e nei Cara, né accedere agli Sprar. Per loro, soprattutto famiglie e minori, si sta predisponendo il "paracadute", per evitare che finiscano per strada, come purtroppo già accaduto nei mesi scorsi.

Un’azione preventiva prima che succedano guai. Così è stato fatto uno screening del percorso didattico dei bambini che vanno alla scuola elementare e media, per evitare di bloccarlo e metà anno. Dunque resteranno a Mineo, così come gli altri con protezione umanitaria. Per il futuro il prefetto ha avviato tutta una serie di contatti per trovare soluzioni per le famiglie e i casi particolari, per costruire una rete di solidarietà approfittando di quella che già esiste nel Catanese. Seguendo la via del dialogo, facendo prevalere l’attenzione e l’umanità.

E le risposte stanno arrivando. «Siamo pronti ad accoglierli, diamo tutta la nostra disponibilità. Ed è quella di tutta la Chiesa siciliana. Cominceremo noi che siamo più vicini ma se non ce la faremo chiederemo aiuto», ci dice il vescovo di Caltagirone. «Questo – aggiunge – non è più il tempo delle parole ma dei fatti. Se vengono messi fuori, fin quando abbiamo le forze non lasceremo nessuno allo sbando». Però, denuncia, «noto che ci si sta muovendo in vista delle elezioni europee, per far vedere che stanno mantenendo le promesse di chiudere i centri e dopo quelli in Veneto e a Castelnuovo di Porto ora tocca a Mineo».

«Dobbiamo evitare il bis di Castelnuovo di Porto – sottolinea anche Emiliano Abramo, della Comunità di Sant’Egidio di Catania –. Per la prima volta abbiamo una dinamica sana nel dialogo con le istituzioni, a partire dalla sensibilità dimostrata dal prefetto. E noi siamo affamati di alleati sul campo. Ci ha voluti tranquillizzare e anche chiedere una mano. E noi lo stiamo facendo». Sono state già individuate tre donne egiziane e libiche con bambini molto piccoli che la prossima settimana saranno accolte a Catania in collaborazione con l’Opera diocesana di assistenza. Vitto e alloggio, ma anche attività di integrazione. La preoccupazione è anche che «non vengano dispersi i processi di integrazione che abbiamo realizzato al Cara, come i cento immigrati che operano come volontari a Catania per occuparsi degli anziani e di chi vive per strada. Alcuni hanno trovato lavoro, ci sono stati quattro matrimoni misti, con cinque bambini. Una chiusura del Cara con tutti in mezzo a una strada vuol dire interrompere questo percorso virtuoso». E poi «bisogna evitare che si crei una situazione di panico, che la gente cominci a scappare. Ce li ritroveremo per strada a Catania, città senza strutture per i senza tetto».

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