martedì 19 marzo 2019
L'appello del padre di una delle sette universitarie Erasmus morte a Barcellona nel 2016
«Verità e giustizia per le nostre figlie dimenticate»
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«È come se mia figlia e le altre ragazze morte non fossero mai esistite». Si sente «stanco e abbandonato», Gabriele Maestrini, papà di Elena, una delle tredici giovani universitarie del programma Erasmus che persero la vita, il 20 marzo 2016, in un incidente stradale in Spagna, mentre in autobus stavano andando da Valencia a Barcellona. Mercoledì 20 marzo saranno tre anni dalla tragedia in cui trovarono la morte sette giovani italiane (Francesca Bonello, Lucrezia Borghi, Valentina Gallo, Elena Maestrini, Serena Saracino, Elisa Scarascia Mugnozza ed Elisa Valent) e papà Gabriele, come i genitori delle altre vittime, da luglio 2016 riuniti in associazione, chiede di conoscere la verità, di sapere per colpa di chi sua figlia, studentessa di Economia a Firenze, è morta a 22 anni.

Nell’immediatezza dei fatti, l’autista 62enne dell’autobus si era assunto la responsabilità dell’incidente, dicendo di avere avuto un colpo di sonno al volante. Successivamente, però, avrebbe imputato la colpa allo stato del manto stradale bagnato e al sistema frenante del mezzo. Entrambi questi elementi sono comunque stati esclusi dalle autorità spagnole che hanno condotto le indagini sul caso. Sta di fatto, però, che in ben due occasioni, la magistratura iberica ha deciso di archiviare il caso, lasciando l’incidente senza responsabili. La prima volta, addirittura senza nemmeno sentire l’autista, mentre la seconda, pur dopo l’interrogatorio dell’uomo, perché non sarebbe emersa «alcuna responsabilità così grave da essere punita penalmente». Una conclusione inaccettabile non soltanto per le famiglie delle ragazze decedute, ma anche per lo stesso pubblico ministero spagnolo, che ha presentato ricorso contro l’archiviazione del caso.

«Lo scorso 15 giugno – racconta Gabriele Maestrini – ci hanno comunicato la riapertura del fascicolo e a luglio, noi genitori con il nostro ambasciatore a Madrid e il console di Barcellona, abbiamo incontrato il procuratore nazionale spagnolo alla sicurezza stradale, che ha confermato come ci siano state delle anomalie nella gestione dell’indagine, annunciando la riapertura del caso, per acquisire ulteriori elementi. Che noi riteniamo siano già in mano alla magistratura spagnola sin dall’inizio dell’inchiesta, ma solo alla fine di questo percorso vergognoso si potrà decidere se dare avvio al processo o procedere nuovamente con l’archiviazione».

Molti gli elementi ancora da chiarire. Come, per esempio, le 77 «decelerazioni significative» registrate nell’ora e mezza di viaggio dalla scatola nera dell’autobus finito fuori strada, rispetto alle dodici degli altri mezzi della comitiva. Segno che, effettivamente, l’autista guidava con evidenti segni di stanchezza. Per sostenere le ragioni delle famiglie, che dopo tre anni chiedono verità e giustizia, Maestrini ha manifestato a gennaio davanti all’ambasciata spagnola a Roma e ha scritto una lettera al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ai due vicepremier, Matteo Salvini e Luigi Di Maio e al presidente della Camera, Roberto Fico. «Dopo quaranta giorni nessuno mi ha ancora risposto», ricorda l’uomo, che sollecita nuovamente il nostro governo a «far pressione sulle autorità spagnole per arrivare alla verità e dare finalmente giustizia alle ragazze». Già sapendo che non sarà semplice, dato che, accusa Maestrini, «il governo spagnolo non ha alcun interesse ad arrivare alla verità, per non mettere i bastoni tra le ruote al business del turismo studentesco».

«Anche l’Università di Barcellona, dove studiava mia figlia – conclude Maestrini – non si è mai fatta viva con noi, pur avendo, quando meno, una responsabilità morale sull’accaduto. Chi doveva controllare le condizioni del mezzo e dell’autista, che era in servizio da 24 ore consecutive?».

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