sabato 30 aprile 2016
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Il caso di Pedro e altri migranti ha provocato le denunce di tre associazioni MILANO Sono le ore 14 di una giornata di metà marzo, Pedro (nome di fantasia, ndr) è andato alla Questura di Milano per presentare domanda di asilo. Come prevede la prassi, il ragazzo si è messo in fila, ha atteso e quando è arrivato il suo turno ha dichiarato al funzionario di turno la propria volontà di chiedere protezione internazionale. Avrebbe dovuto uscire dagli uffici di via Montebello con un appuntamento per comparire davanti alla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale. Invece Pedro è stato fotosegnalato e ha ricevuto un decreto di espulsione. Eppure, chiunque ascolti la storia di Pedro non avrebbe il minimo dubbio sul fatto che il 24enne ha tutto il diritto di chiedere asilo. Oltre che buone possibiltà di ottenerlo. Il giovane, infatti, viene da El Salvador, un Paese dove nel 2015 si sono registrati ben 6.640 omicidi (triste primato mondiale) e dove le maras( violente gang criminali) esercitano «livelli straordinari di controllo sociale sulla popolazione dei loro territori», come evidenzia l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Pedro ha provato ad opporsi ed è arrivato persino a denunciare la mara che ricattava lui e la sua famiglia. Ma per restare vivo ha dovuto fuggire. Nelle ultime settimane, diversi richiedenti asilo che hanno cercato di presentare domanda alla Questura di Milano si sono ritrovati nelle stesse condizioni di Pedro. Come Maria, arrivata in Italia dall’Ucraina con un visto turistico e che ha deciso di chiedere protezione a causa del peggioramento della situazione nel suo Paese, ancora segnato da un profondo conflitto. An- che lei ha ricevuto un decreto di espulsione. La sua fortuna: il fatto di essere accompagnata allo sportello da Cristina Sebastiani, operatrice dell’associazione Progetto Domu. «Questo fatto ci ha aiutato a scrivere la causa di ricorso, che poi abbiamo vinto – spiega Sebastiani –. Il mio timore è che ora i richiedenti asilo non si fidino più a presentare domanda di asilo. Con la conseguenza di restare invisibili». Una prassi che ieri tre associazioni impegnate nelle tutela dei diritti dei migranti (Asgi-Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, Avvocati per niente e Naga) hanno denunciato con un duro comunicato stampa. Sottolineando come – di fatto – gli sportelli della Questura di Milano siano diventati una sorta di hotspotin cui sono i funzionari di sportello a fare da 'filtro' rispetto alle domande di asilo. «Si tratta di una delle violazioni dei diritti più gravi degli ultimi dieci anni – commenta Pietro Massarotto, avvocato e presidente del Naga –. Non si tratta dell’interpretazione di un codice o di una norma: si sta limitando l’accesso alla protezione internazionale per i richiedenti asilo, una prassi che viola numerose normative italiane e internzionali». La denuncia delle tre associazioni spiega come ai richiedenti asilo venga sottoposto un modulo prestampato da compilare. Le domande contenute su questo foglio hanno come obiettivo quello di 'valutare' se il richiedente ha o meno i requisiti necessari per chiedere asilo. Un compito che però – per legge – non spetta a nessun altro che non siano i membri delle Commissioni territoriali per il diritto di asilo. Altro elemento che desta preoccupazione, il fatto che da alcune settimane venga vietato a operatori e avvocati di accompagnare i propri assistiti all’interno degli uffici della Questura nelle prime fasi della presentazione della domanda d’asilo. Uno di questi è Livio Neri, avvocato che ha assistito Pedro e che ha presentato ricorso contro l’espulsione del ragazzo e che sta seguendo altri casi simili. «La prassi è molto simile a quella che si registra negli hotspot – sottolinea il legale –. Nel corso dell’ultimo mese si è verificata più volte». Asgi, Avvocati per niente e Naga chiedono alla Questura di Milano di «interrompere immediatamente le legittime prassi segnalate». In caso contrario – annunciano – «ci rivolgeremo alla Commissione Ue per l’apertura di una procedura di infrazione, nonché all’autorità giudiziaria italiana». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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