sabato 4 dicembre 2010
Dalla relazione sulla situazione 2010 emerge un quadro grigio e preoccupato. Per De Rita «non abbiamo spessore perché non funziona il nostro inconscio, personale e collettivo» e la legge «conta sempre di meno». Sono 2 milioni 242mila i giovani che non studiano, non lavorano né cercano un impiego. Analisi severa dell'informazione tv.
- Non-notizie? La fuga amara dai tg di Umberto Folena
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Dalla crisi economica probabilmente usciremo. Il problema vero è che la società non sembra avere lo spessore e il vigore necessari ad affrontare le sfide del domani. Crisi sociale, sentenzia dunque il Censis, più che economica. Un Paese appiattito, ripiegato su se stesso, apatico e senza progettualità. «Non abbiamo spessore – è l’analisi di Giuseppe De Rita – perché non funziona il nostro inconscio, personale e collettivo. Cioè il luogo in cui si modulano leggi e desideri». La legge, cioè l’autorità, «conta sempre di meno». Il desiderio, cioè il bisogno e la volontà di superare il vuoto conquistando beni e relazioni «svanisce» dopo l’appagamento che aveva portato gli italiani a tirare la cinghia per la casa, i figli all’università, l’azienda di famiglia. Un quadro grigio e preoccupato, quello che emerge dal 44° Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2010 della Fondazione Censis, ma non disfattista. «Dalla grande illusione a una nuova passione per noi stessi, la famiglia, il Paese» è la sferzata del direttore del Centro studi investimenti sociali Giuseppe Roma. La radiografia socioeconomica del Censis guarda oltre la crisi. Per il presidente De Rita «la crisi sociale è più forte e solo con un intervento sociale si può uscire dalla strettoia economica. Dobbiamo ripartire da noi stessi. La nostra incertezza dipende dalla scarsa capacità di rinnovarci: in tutti i Paesi a demografia stagnante la globalizzazione continua a fare paura». E allora «tornare a desiderare – si legge nel rapporto – è la virtù civile necessaria per riattivare la dinamica di una società troppo appagata e appiattita». Appagata dal raggiungimento degli obiettivi – la casa o la seconda casa – o dall’offerta di beni mai desiderati, dal giocattolo mai chiesto all’ennesimo modello di cellulare. Per rompere l’apatia si moltiplicano gli episodi estremi, non più regolati da un «dispositivo di fondo disciplinante»: delitti familiari, bullismo, demenziali sfide con la morte.Tre, secondo il Censis, i processi che lasciano intravedere «germi di desiderio»: i comportamenti «apolidi» dei giovani e degli imprenditori che studiano o lavorano all’estero, i «nuovi reticoli di rappresentanza del mondo delle imprese», la propensione a fare comunità in luoghi a misura d’uomo.Il Censis elenca i sintomi più evidenti. Nel mondo la ricetta anti-crisi è puntare sull’auto-imprenditorialità, ma in Italia, patria del lavoro autonomo e della piccola e media impresa, si riduce il lavoro non dipendente: tra 2004 e 2009 sono 437 mila gli imprenditori, artigiani e commercianti in meno, quasi l’8%. Chi ha subito di più la crisi sembrano essere i giovani, che non credono più al lavoro come strumento di realizzazione: 2 milioni 242 mila le persone tra i 15 e i 34 anni che non studiano, non lavorano né cercano un impiego. Soprattutto giovani donne del Sud. Brutti segnali anche dai dati macroeconomici. Tra il 2000 e il 2009 il tasso di crescita dell’Italia è stato tra i più bassi: noi più 1,4% di Pil, la Germania il 5,2, la Francia il 10,9, il Regno Unito 13,4. Inversamente proporzionale la crescita dell’occupazione: da noi più 8,3% di occupati, gli altri - nell’ordine - 2,9%, 5%, 5,4%. «Abbiamo creato un’occupazione che non crea valore», sostiene Roma, che parla del lavoro nel pubblico «come fattore assistenziale». E il made in Italy, la merce di nicchia non basta più «senza maggiori iniezioni di innovazione nei prodotti».In sintesi, dice ancora il direttore del Censis, «i Paesi dinamici sono quelli dove ci sono i giovani e corre il reddito, i Paesi statici quelli con tanti anziani e tanto patrimonio». I consumi non tirano «perché non ci sono prodotti che ci inducano a metterci sotto sforzo». E il risparmio familiare, per chi ce la fa, «è stagnante»: mattone, polizze, liquidità. Tra 2008 e 2010 sono cresciuti del 10% i mutui, oltre 252 miliardi. Più 10,3 la liquidità detenuta dalle famiglie, più 22% rispetto al 2009 le nuove polizze vita. Cresce la «tassazione occulta»: costi aggiuntivi della scuola dell’obbligo, parcheggi a pagamento, le multe come sistema di autofinanziamento delle «esangui casse dei comuni», i bollini per auto, moto e caldaie, la parcella del commercialista per il 730 pesa: una media di 2.289 euro per una famiglia di tre persone: dal 19% della spesa familiare del 1970 all’attuale 30%. Luca LiveraniINFORMAZIONE IN DECLINOIl rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese si occupa di una gran varietà di temi, fra i quali anche «l’informazione tramite i telegiornali serali nazionali». Interessante, ma anche preoccupante, che uno dei dati emersi riguardi l’attenzione degli spettatori tv, calati, tra settembre 2009 e giugno 2010, da 18.333.000 a 14.968.000, con una perdita di audience superiore ai tre milioni. Sono soprattutto le reti generaliste a lamentare questo calo: il peggio tocca al Tg5 che, con  21,1% di share e 4.601.000 spettatori arretra di 5 punti di share, perdendo 813.000 presenze. Ma anche il Tg1 non canta vittoria, conta 441.000 telespettatori in meno, perdendo il 3,3% di share. Dato significativo è il tramonto di quel «Lo ha detto il telegiornale!» che da tempo sorreggeva le familiari certezze dello spettatore medio. Vuol significare, questa caduta di ascolti, che l’italiano medio non è più attratto dalla notizia o trova altri modi per soddisfare le sue curiosità relative al mondo? O piuttosto è la trasformazione da “informazione” a “Infotainment” - si veda il successo costante e anche crescente di programmi come "Striscia la notizia" di Canale 5, o l’interesse suscitato dal ritorno di Enrico Mentana su La7, con stile colloquiale - a creare un distacco che segnala un disorientamento e forse una disaffezione? Potrebbe esser una spiegazione la modificazione progressiva per la quale i notiziari si sono geneticamente modificati, cucinando nel canonici trenta minuti notizie di politica e di vita sociale condite sempre più da dettagli di pettegolezzo (il "gossip" ora di moda) e divagazioni improprie, ma stuzzicanti  e frivole . Spiegazione convalidata, d’altro canto, dal successo di inchieste serie come quelle di "Report" su Raitre, Tv7 di Raiuno, "Tg2 Dossier"" di Raidue, "Terra!" di Canale 5 che dell’attualità fanno racconto, analisi e non pretesto. Infine c’è da considerare che i palinsesti tv sono ormai sovente intervallati da notiziari brevissini ma comunque efficaci, che giungono all’utente anche sul web o sui cellulari: un aggiornamento stringato che soddisfa l’attenzione ma che spegne ulteriormente la curiosità per il paludato Tg serale, che si rassegna – restando uguale a se stesso – al viale del tramonto. Mirella Poggialini
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