mercoledì 10 maggio 2017
Ciò che conta per determinare quanto uno dei due coniugi deve versare a quello più «debole», non è più il «tenore di vita» bensì l'indipendenza o autosufficienza economica di quest'ultimo.
Foto Siciliani

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Cambia l'assegno di divorzio: dopo 30 anni di orientamento costante, ciò che conta per determinare quanto uno dei due coniugi deve versare a quello più «debole», non è più il «tenore di vita» goduto prima della rottura del matrimonio, bensì l'indipendenza o autosufficienza economica di quest'ultimo. Lo ha stabilito oggi con una sentenza la prima sezione civile della Cassazione. Il parametro dunque sarà diverso: non più come si viveva prima, ma in un certo senso come si potrà vivere con le proprie forze dopo.

La Corte spiega la ratio della decisione, giudicata rivoluzionaria dall'Associazione degli avvocati matrimonialisti italiani: in sintesi, il matrimonio non è più la sistemazione definitiva ma «un atto di libertà e responsabilità». Con la sentenza di divorzio, il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale, ma anche economico-patrimoniale, spiega la Corte, quindi ogni riferimento al «tenore di vita» produce l'effetto di ripristinarlo in maniera illegittima, in una indebita prospettiva di «ultrattività del vincolo matrimoniale».

Dunque, secondo i giudici, sono cambiati i criteri per valutare come raggiungere l'indipendenza economica di chi richiede l'assegno divorzile. Ed è questo il passaggio che promette più novità: il diritto all'assegno non deve essere riconosciuto non soltanto se l'ex coniuge ha redditi e patrimonio mobiliare e immobiliare tali da renderlo autosufficiente, ma anche se è «effettivamente in grado di esserlo». Il che vuol dire se ha una «capacità e possibilità» di lavorare e se ha «la stabile disponibilità» di un'abitazione.

In realtà in moltissimi casi, soprattutto quando a divorziare sono coppie giovani, i giudici già tengono conto di questi elementi. L'assegno di mantenimento, nei fatti, è valutato anche in base all'età e all'istruzione: se un ex coniuge ha 30 anni e un titolo di studio - è il ragionamento - può cercare un lavoro e non dipendere dall'assegno, che ha «natura assistenziale», vita natural durante.

Un «terremoto giurisprudenziale», commenta l'Associazione degli avvocati matrimonialisti, che vede un futuro allineamento con gli orientamenti dei Paesi europei «nei quali l'assegno divorzile dipende essenzialmente dai patti prematrimoniali».

Ecco i parametri della Cassazione

Sono quattro i principali "indici" - indicati dal verdetto 11504 della Cassazione - "per accertare" la sussistenza, o meno, "dell'indipendenza economica" dell'ex coniuge richiedente l'assegno e quindi l'adeguatezza, o meno, dei "mezzi", nonché la possibilità, o meno, "per ragioni oggettive, di procurarseli. Sono quattro:

1) avere redditi di qualsiasi specie

2) avere cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari

3) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all'età, al sesso ed al mercato del lavoro indipendente o autonomo

4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione

Tocca all'ex coniuge che chiede l'assegno, "allegare, dedurre e dimostrare di non avere i mezzi adeguati e di non poterseli procurare per ragioni obiettive".

I protagonisti: un ex ministro e la sua ex moglie

La sentenza ha per protagonista un ex ministro (di cui si conosce il nome ma di cui Avvenire intende rispettare la richiesta alla privacy) e la sua ex moglie, che chiedeva di avere da lui l'assegno a vita, dopo aver già ricevuto 2 milioni di euro. «Tanti cittadini - sottolinea il legale dell'ex ministro, Daniele Mariotti - potranno trarne utilità, mettendo fine a situazioni di indebito arricchimento alle spalle dell'ex coniuge».

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