venerdì 16 dicembre 2011
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​Nella Casa dei papà separati, presso il convento degli Oblati di Rho, alle porte di Milano, si terrà una cena pre-natalizia speciale. Ad animarla tanti padri spezzati dalla fine del matrimonio – cattolici e non, musulmani e copti, italiani e stranieri – che hanno ritrovato la speranza grazie al progetto messo in campo un anno fa dall’assessore alle Politiche sociali della Provincia di Milano, Massimo Pagani, con la collaborazione proprio dei padri Oblati e dell’associazione Famiglie separate cristiane (Fsc).A Rho le differenze diventano occasioni per cercare punti di contatto, soluzioni esistenziali, motivi di fratellanza che vanno oltre l’identità sociale. Si ha l’impressione di un’atmosfera da primitiva comunità cristiana, dove l’aiuto reciproco e l’accoglienza – parola simbolo dell’associazione – sono alla base dello stare insieme. Uno degli ospiti che non ha l’automobile, alla sera riporta i figli dalla mamma, utilizzando l’auto di un altro. Said – di origine marocchina e di fede islamica, una laurea in tasca ma solo un lavoro da elettricista per campare – qui si trova a casa, senza diffidenze, senza contrasti. Perché quello che conta a Rho non è solo aiutarsi, ma anche ascoltarsi, come spiegano Giovanni, Paolo, Piero. Nomi diversi, storie comuni. Tutto crollato dopo la fine del matrimonio, raccontano. «Improvvisamente ci siamo sentiti lontani dai figli, senza un tetto dove dormire, senza soldi che se ne andavano in avvocati, psicologi, mutui, debiti. Qui abbiamo ritrovato noi stessi, la voglia di fare».I padri si danno una mano nella lavanderia comune, bevono insieme un caffè al bar del convento, preparano lo spazio gioco per i figli. I loro stessi figli sono diventati amici e rincorrono gli scoiattoli nel grande parco a loro disposizione. Prima e fuori di qui, oltre allo smarrimento, c’era la disperazione. Ricordiamolo: in Italia almeno ottocentomila, secondo i dati Caritas, sono caduti in povertà dopo la separazione e fra loro si contano tanti uomini che avevano un lavoro abbastanza remunerativo e che ora sono diventati nuovi poveri. Ora, per fortuna, cominciano a nascere strutture simili a questa dove è possibile soggiornare al costo di 200 euro mensili per circa un anno, il tempo di stabilizzare la propria posizione. Attualmente sono occupate tutte le 15 camere a disposizione e la Provincia sta cercando con urgenza nuovi spazi a Milano. «Ho dormito anche in un furgone insieme ai miei materiali di lavoro – racconta sempre Giovanni – e ho provato la convivenza con altri in un appartamento, ma mi sentivo più che altro uno studente universitario senza legami. Qui, a Rho, c’è invece un entusiasmo diverso, contagioso». Importante anche l’apporto dei padri Oblati, sempre disponibili ad ascoltare ed aiutare, al di là delle differenze di credo.Torna la speranza, il piacere di guardare al futuro. La Casa, d’altronde, non è solo un rifugio, ma un laboratorio di umana fratellanza: accanto alle camere è infatti pronto un appartamento per i papà usciti dalla prima fase di emergenza, che oltre ad essere ospiti, svolgeranno la funzione di tutor nei confronti dei nuovi arrivati. «La differenza e l’unicità di questa iniziativa – spiega l’assessore Pagani – sta nel fatto che agli ospiti non viene offerto solo un tetto, ma un progetto che permette davvero di rimettersi in gioco con una nuova fiducia in se stessi. Questa casa ha ridato ai papà la dignità di poter accogliere i propri figli liberamente, pranzando in una sala bella e dignitosa, invece del solito ristorantino dove si sgomita per trovare un posto. Inoltre, questo spirito di accoglienza mostra anche a persone di fedi diverse o ai battezzati, da anni non pi praticanti, cos’è una comunità cristiana vera». E tutto questo «sta lasciando un segno nell’anima di ciascuno», conclude Ernesto Emanuele, presidente di Fsc. «C’ è di più: alcuni dei papà partecipano anche alle attività dei gruppi di preghiera organizzati da noi nella stessa Rho e a Milano».
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