venerdì 22 agosto 2014
«Aiutiamo chi ci sta aiutando». Quando i migranti trovano la generosità mettendosi dall’altra parte della barricata.
COMMENTA E CONDIVIDI
Lamin è la prova, se ce ne fosse bisogno, che i migranti non sono numeri. Ciascuno di loro è un bagaglio di esperienze, di sofferenze, di sogni, che portano a terra, dopo un periglioso viaggio in mare, e provano a spacchettare poco a poco. Così, Lamin Sawo, giovanissimo, slanciato e muscoloso, pochi giorni dopo il suo arrivo a Palermo, sceglie di ricambiare l’accoglienza ricevuta col più semplice e sincero dei doni: mettere a disposizione se stesso.Dal Gambia a Palermo per scappare da povertà e dittatura, Lamin vuole dire grazie a chi l’ha accolto e ha deciso di farlo donando agli altri tutto ciò di cui dispone: due braccia, un sorriso raggiante e i suoi 19 anni. Arrivato a Palermo lo scorso 15 giugno, è stato ospitato nella parrocchia di San Giovanni Maria Vianney San Curato d’Ars, guidata dal direttore della Caritas diocesana, don Sergio Mattaliano. È andato via dal suo Paese, «a causa della dittatura che non lascia spazio alla libertà e di una povertà dilagante che sta riducendo la popolazione allo stremo. Ho lasciato nella mia città, mio papà e cinque sorelle». Da quando è bambino ha un unico sogno nel cassetto: diventare un calciatore. Anche in Gambia faceva parte di una squadra di calcio. Questo desiderio gli ha dato il coraggio di lasciare la sua famiglia e trasferirsi lontano, dove Lamin spera di realizzare il suo sogno. Intanto, non si perde d’animo e sa che «è giusto dire grazie a chi mi ha accolto e mi sta aiutando a camminare con le mie gambe». È per questo motivo che Lamin ha deciso di dare una mano ad accogliere i migranti che sempre più spesso sbarcano in città. «Ho deciso di ricambiare l’aiuto che mi è stato dato al mio arrivo a Palermo, dando una mano agli operatori Caritas durante gli sbarchi al porto e nella gestione dell’ospitalità ad altri migranti. Voglio insomma ricambiare ciò che voi italiani state facendo per me».Così che Lamin, sempre sorridente, carica casse d’acqua, dà parole di conforto ai migranti che arrivano e li aiuta a comunicare con gli operatori, facendo anche da traduttore. Come Lamin, altri migranti ospiti al Santo Curato d’Ars hanno deciso di diventare volontari Caritas durante il loro periodo di permanenza a Palermo e si danno da fare al centro di accoglienza. «Questi migranti africani hanno chiesto di dare il loro contributo nella comunità – spiega Vittorio Mattaliano, operatore Caritas –. Ognuno di loro si è dato un compito preciso, tutto fatto di loro spontanea volontà. Una bellissima testimonianza di come si sia innescata una catena di solidarietà e integrazione».Una risposta importante e preziosa, soprattutto in questo mese di agosto, durante il quale molte braccia vengono meno ma le esigenze non diminuiscono. In questo momento a Palermo sono ospitate 180 persone nei centri Caritas (parrocchia del Curato d’Ars, centro Santa Rosalia e San Carlo, Punto giovani Padre Messina, centro Puglisi di Giacalone), perché i trasferimenti hanno decongestionato le strutture e gli ultimi arrivi risalgono a una decina di giorni fa. Ma tutti sanno che bisogna prepararsi ai nuovi sbarchi. Intanto, gli operatori coordinati dalla responsabile immigrazione della Caritas, Nadia Sabatino, cercano di riempire le giornate di chi vive da settimane e mesi nei centri. «Corsi di italiano, attività sportive, tornei di calcetto – spiega Sabatino – vengono offerti a tutti. A Ferragosto abbiamo organizzato una scampagnata nella struttura di Giacalone, ma abbiamo anche festeggiato la fine del Ramadan con gli ospiti musulmani».La macchina della solidarietà, però, ha bisogno di più volontari. «In questi giorni stiamo vivendo anche belle esperienze di giovani volontari del Nord Italia arrivati a Palermo per darci una mano: per esempio, un ragazzo è venuto da Milano e due ragazze da Firenze e Prato», racconta il direttore della Caritas, don Sergio Mattaliano. «E abbiamo avuto richieste da Brescia e addirittura dalla Svizzera per fare esperienza di volontariato qui da noi», aggiunge Nadia Sabatino. Segno che assieme ai bisogni cresce anche la gioia di donare.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: