martedì 26 ottobre 2010
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Un nuovo caso Cucchi a Roma. Un ragazzo morto in cella. E sei persone indagate. Il pm Eugenio Albamonte è prudente: specifica che si tratta, per ora, soltanto della fase di indagini preliminari, ma la vicenda di Simone La Penna - il giovane viterbese morto nel carcere romano di Regina Coeli per «arresto cardiaco provocato da squilibrio elettrolitico» - ricorda drammaticamente quella di Stefano Cucchi. Simone e Stefano avevano pressapoco la stessa età: 32 il primo, 31 il secondo. Entrambi avevano alle spalle problemi di droga, per i quali erano finiti in cella. Entrambi sarebbero vittime dell'inadeguatezza del sistema carcerario italiano. Ecco perché fa scalpore la notizia di questa seconda morte sospetta nel penitenziario più famoso della capitale. Gli inquirenti sottolineano che non ci sono - nel caso di Simone - le percosse che portarono alla morte del giovane geometra martoriato dalle botte. Ma il decesso del ragazzo sarebbe dovuto, quantomeno, a negligenze imputabili a chi doveva garantirne lo stato di salute. Anche lui era un «detenuto di serie B», un povero ragazzo drogato. La magistratura ha aperto un'inchiesta sulla morte di La Penna. Nel registro degli indagati sono stati iscritti medici e infermieri sia dell'ospedale Pertini (lo stesso nosocomio dove Stefano Cucchi fu ricoverato e non adeguatamente alimentato e curato) sia dell'infermeria del carcere di Regina Coeli. In questa ultima struttura, La Penna è deceduto appena un mese dopo Cucchi: Stefano morì il 22 ottobre 2009 al Pertini; Simone fu trovato quasi morto in cella il 26 novembre 2009. I sanitari del carcere provarono in tutti i modi a rianimarlo, ma spirò dieci minuti dopo il loro intervento. Fino a quel giorno, aveva fatto avanti e indietro fra celle e corsie d'ospedale.Simone era stato, in passato, malato di anoressia. Ne era guarito. Ma dopo il suo arresto per detenzione di stupefacenti nel gennaio 2009, era stato rinchiuso nella casa circondariale di Viterbo, e in meno di un mese aveva ricominciato a star male: vomitava, perdeva peso. Trenta chili in poche settimane. Lo avevano anche ricoverato al «Sandro Pertini», a giugno, per il grave stato di denutrizione, ma ci era rimasto soltanto due giorni: rispedito in cella. Secondo il pm Albamonte, Simone era monitorato: non era stato abbandonato come accadde invece a Cucchi. Tuttavia qualcosa è andato storto. Eppure le avvisaglie c'erano tutte: gli avvocati del giovane viterbese avevano posto, a più riprese, il problema della incomopatibilità del suo stato di salute con il regime carcerario. La difesa di Simone ne aveva chiesto più volte l'assegnazione agli arresti domiciliari o a una struttura che potesse curarlo. Invece lo hanno laciato morire, accusa la famiglia, che poco dopo la morte del ragazzo, nel novembre 2009, ha sporto denuncia. Chiede di sapere perchè i medici che avrebbero dovuto segnalare le sue condizioni e portarlo via dal carcere non lo fecero. L'ipotesi di reato è di omicidio colposo.
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