sabato 14 dicembre 2019
Comunità di recupero e Forum delle famiglie all’attacco dell’emendamento alla Legge di bilancio dal Movimento 5 Stelle che riapre il business dei cannabis shop
Prodotti realizzati con "cannabis light" in un negozio di Roma

Prodotti realizzati con "cannabis light" in un negozio di Roma - Ansa

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Sembra una beffa, all’indomani dell’annuale Relazione al parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze. Che per il nostro Paese – dove nell’ultimo anno le morti per droga sono cresciute del 12% – ha lanciato un nuovo, potente allarme proprio sulla cannabis: la sostanza più diffusa in assoluto, con un terzo dei ragazzini che l’hanno consumata almeno una volta, 150mila fra questi questi a rischio e un’“iniziazione” scesa ai 15 anni. Dati all’apparenza nemmeno presi in considerazione nella stesura dell’emendamento infilato in dirittura d’arrivo nella Legge di bilancio dal Movimento 5 Stelle, con cui di fatto si legalizza la vendita della tanto discussa “cannabis light” se con Thc (cioè contenuto di tetraidrocannabinolo) inferiore allo 0,5%. Un via libera al ritorno dei “cannabis shop”, la cui attività era stata bloccata da una sentenza della Cassazione di maggio.

L’emendamento in queste ore ha sollevato un polverone di polemiche. In rivolta ci sono innanzitutto le comunità di recupero: «Un subemendamento che vuole tutelare soltanto produttori e commercianti, non curandosi del messaggio educativo lanciato ai giovani, è una manovra incosciente – va all’attacco il presidente della Federazione nazionale delle comunità terapeutiche (Fict), Luciano Squillaci –. Il benessere della collettività in termini di salute, di cultura e di educazione sono concetti che vengono depennati in nome del mercato e del commercio. Stiamo vendendo una intera generazione alla cultura liquida del marketing. Una cosa così rilevante da un punto di vista culturale, educativo e del benessere della salute si fa passare con un emendamento alla finanziaria sottraendosi al dibattito politico, vuol dire che stiamo comunicando ai giovani che il mercato è più importante di loro e della loro salute e che è più importante la sostanza che i percorsi educativi».

Durissima anche la presa di posizione di San Patrignano: «Non comprendiamo come si possa stabilire attraverso la manovra di bilancio che la canapa con un contenuto dello 0,5% di Thc possa essere considerata innocua per la salute umana e quindi non considerabile come sostanza stupefacente – tuonano dalla comunità di Coriano –. Non possiamo nascondere il disappunto nel vedere utilizzata la manovra di bilancio, che dovrebbe prevedere unicamente interventi volti alla gestione economica e finanziaria del Paese, per legiferare su un ambito strettamente sociale e sanitario che dovrebbe seguire ben altro iter e che dovrebbe obbligare la politica ad un dibattito serio nei contenuti coinvolgendo tutte le commissioni e gli organismi scientifici interessati». Quella politica che proprio le comunità – per la prima volta insieme, senza eccezioni – avevano scosso qualche settimana fa organizzando una conferenza stampa congiunta alla Camera e chiedendo una revisione della legge sulle droghe. «Riteniamo sia il caso di occuparsi maggiormente dei programmi di prevenzione e cura – torna infatti alla carica San Patrignano –, sostenendoli con finanziamenti e politiche adeguate e aggiornate».

«La cannabis crea dipendenza, è dannosa e il parlare in modo inadeguato di uso ricreativo abbassa la percezione della sua pericolosità» ricorda Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, ammonendo lo Stato «a non fare soldi sulla pelle dei giovani».

A prendere posizione sull’emendamento dei 5 Stelle anche il Forum delle famiglie: «L’Italia sta diventando il Paese dei condoni: di fronte a temi complessi come il consumo di cannabis, la tendenza politica attuale è quella di ricorrere a scorciatoie normative o a considerazioni tecnocratiche, anziché ascoltare con attenzione i bisogni reali delle persone – commenta il presidente Gigi De Palo –. Di fronte al problema cannabis la soluzione si raggiunge, piuttosto, andando nelle scuole a fare educazione per i ragazzi, informandoli e fornendo loro gli strumenti necessari per conoscere la portata di certe scelte. Certo, è più facile legalizzare che spiegare, è più comodo trovare compromessi dal respiro corto anziché lavorare a politiche efficaci e strutturali di prevenzione».

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