giovedì 22 febbraio 2018
Salvini: sciogliere organizzazioni come Forza Nuova e CasaPound? Non mi convince
Il giudice Guido Salvini

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«Vedo alcune proposte di sciogliere le organizzazioni neofasciste. Non mi convincono affatto. Quando si fa riferimento a queste organizzazioni si parla sostanzialmente di entità politiche come Forza Nuova e CasaPound. L’idea di uno scioglimento comporterebbe il consegnare all’illegalità non piccoli gruppi eversivi ma decine di migliaia di persone. Non solo non è giusto, ma anche un rischio ». Così riflette il giudice Guido Salvini, titolare di inchiesta sul terrorismo neofascista, sulle Br, sulla violenza estremista degli anni di piombo e di oggi. Magistrato che, ci spiega, parla «con tutti, con gli autonomi e coi neofascisti. Per cercare di far capire che il rispetto degli altri è un valore essenziale ».

Perché non è giusto?
La legge Scelba che vieta la ricostituzione del partito fascista, va contestualizzata, tanto è vero che la Consulta già nel 1957 aveva detto che non è incostituzionale ma nella misura in cui non vieta la commemorazione o l’elogio, ma solo la ricostituzione di un partito che abbia le finalità antidemocratiche di quel fenomeno storico. Oggi abbiamo partiti che si presentano alle elezioni, che da un punto di vista culturale e ideologico hanno le loro radici in quel fascismo, ma non hanno programmi che possano legittimare uno scioglimento.

Diversi anche dai gruppi sui quali ha indagato? L’estrema destra eversiva e terroristica è stata un altro fenomeno. Si può ritenere sbagliatissima la posizione delle forze di oggi sull’immigrazione, ma sono posizioni politiche su cui confrontarsi. È la democrazia. Mi sembra perdente per le forze politiche antifasciste continuare a considerare la destra anche estrema non un fenomeno politico ma criminale. Ciò non toglie ovviamente che qualunque atto di violenza proveniente da questi gruppi o da altri vada represso. Ma debbo dire, anche se può essere spiacevole, che oggi molti episodi di violenza vengono da un sedicente antifascismo di tipo squadristico, come quello di Palermo, che provoca poi ovviamente azioni di risposta.

Non ricorda la stagione in cui si diceva «uccidere un fascista non è reato»?
Non si è mai estinta una cultura politica molto pesante che considera la violenza uno strumento abituale di lotta, che allora era rappresentata dai servizi d’ordine di alcuni gruppi, e oggi dai comportamenti di molti centri sociali che si ritengono in diritto di impedire comizi altrui.

Quale è la similitudine con allora e quali le differenze?
Non c’è un’elaborazione sistematica come allora. Ricordiamo che era il tempo degli attentati e delle stragi, un vissuto che per fortuna non c’è più. Ma anche se oggi gli episodi gravemente violenti sono infinitamente minori, sono spia di un comportamento più pericoloso a lungo termine, perché continuando a fare solo questo antifascismo, non ci si accorge che la destra, anche quella estrema, acquisisce consensi nelle fasce popolari, con un atteggiamento di ordine, meno provocatorio, che può essere tattico ma c’è. Ora sono gli aggrediti ma se fossero in maggioranza? Sono così perché è giusto o perché conviene?

E all’estrema sinistra la violenza è frutto di qualcosa di vecchio o di qualcosa di nuovo?
Ci sono anche vecchi e ci sono ragazzini. Sono frutto di tantissime parole d’ordine venute dal tempo. Hanno una mentalità per la quale, comunque, non esistono avversari ma nemici. Non esiste una cultura del confronto. Con nessuno. Dall’altra parte sono molto più furbi. Qualcuno fuori controllo ce l’hanno, come abbiamo visto a Macerata, ma tendono a evitare che succeda. Tendono a prenderle.

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