venerdì 2 agosto 2013
Il cavaliere coi parlamentari del Pdl attacca il verdetto della Cassazione: «Serve riforma della giustizia, dobbiamo chiedere al più presto nuove elezioni». Alfano: pronti a uscire dal governo. Brunetta e Schifani al Colle per chiedere la grazia. Letta: sarebbe un delitto fermarsi ora. Condanna già notificata a Berlusconi, che entro il 15 ottobre dovrà scegliere tra affido ai servizi sociali e domiciliari. Nel frattempo la pena è sospesa.
EDITORIALE
Prima l'Italia di Marco Tarquinio
Il dispositivo della sentenza
INTERVISTE Giovanni Galli | Paolo Del Debbio
LA CURIOSITA' I nodi di decadenza e incandidabilità
LA VICENDA Indagini e intrighi: l'epilogo di una storia lunga 12 anni
Il video-messaggio: rifonderemo Forza Italia
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ll pm di Milano Ferdinando Pomarici ha firmato l'ordine di esecuzione con sospensione della pena per Silvio Berlusconi, condannato in via definitiva a quattro anni di reclusione (tre coperti da indulto) per il caso Mediaset. I carabinieri hanno già notificato l'atto al Cavaliere, che potrà scegliere tra affidamento ai servizi sociali e arresti domiciliari. Avrà tempo fino al 15 ottobre. Nel frattempo Berlusconi è tornato sulla sentenza durante la riunione con i gruppi parlamentari del Pdl, convocata a Montecitorio. Al suo arrivo è stato accolto dagli applausi. "La sentenza di ieri - ha detto - si basa sul nulla, sul fatto che non potevo non sapere". E poi ha aggiunto: "Non possiamo sottrarci al dovere di una vera riforma della giustizia, per questo siamo pronti alle elezioni. Dobbiamo chiedere al più presto le elezioni per vincere. Riflettiamo sulla strada migliore per raggiungere questo obiettivo".E il vicepremier Angelino Alfano non ha escluso l'uscita dal governo: "Se c'è da difendere i nostri ideali e la storia di tutti noi e la storia del presidente coincide con la nostra, siamo pronti alle dimissioni a partire dai ministri del governo".Deputati e senatori del Pdl hanno consegnato le loro dimissioni nelle mani dei capigruppo, Renato Brunetta e Renato Schifani. A quanto si è appreso, Brunetta e Schifani con le dimissioni andranno dal presidente Giorgio Napolitano per chiedere "che venga ripristinato lo stato di democrazia". A domanda se ciò voglia dire una richiesta di grazia per Silvio Berlusconi, viene replicato di sì. Letta: il governo deve andare avantiLa politica italiana si interroga sui possibili scenari post sentenza. Sopravviverà il governo? Il premier Enrico Letta, incalzato dai giornalisti, aveva detto in mattinata che "il momento è delicato ma spero prevalga l'interesse del Paese". Ma poi ha avvertito: "No ai logoramenti, non continuerò a tutti i costi". Sull'eventuale incandidabilità di Berlusconi il premier ha chiarito: "Penso che bisogna applicare la legge e da quello che ho capito non ci sono elementi di discrezionalità". In ogni caso, ha sottolineato Letta, "oggi siamo in una condizione in cui ognuno deve assumersi le proprie responsabilità". Più tardi, Letta ha aggiunto che sarebbe un "delitto" non andare avanti, fermarci "malamente", perché il lavoro del governo comincia a dare i suoi "frutti": i risultati "sono a portata di mano e possiamo già toccarli".Il M5s invece va all'attacco a testa bassa e chiede al presidente Grasso che il Senato  deliberi "immediatamente" sulla decadenza di Silvio Berlusconi dalla carica di parlamentare, sulla base delle norme anticorruzione entrate in vigore un anno fa. I cinque stelle chiedono la convocazione immediata della giunta delle immunità e dell'aula di Palazzo Madama. L'estratto esecutivo della sentenza è arrivata al presidente del Senato Pietro Grasso che l'ha subito trasmessa al presidente della giunta delle immunità Dario Stefano. Intanto il Pdl conferma la fiducia in Berlusconi: «Il leader resta lui». E il cavaliere non molla: «Continueremo la battaglia, con l'aiuto dei giovani rimetteremo in piedi Forza Italia».Cassazione, il giorno dopoLa conferma dei foschi presentimenti dell’imputato Silvio Berlusconi arriva alle 19.40 di un afoso primo d’agosto, quando il presidente della Sezione feriale della Corte di Cassazione, Antonio Esposito, legge il dispositivo della sentenza definitiva del processo sui diritti tv Mediaset, decisa insieme ai quattro colleghi dopo 8 ore di camera di Consiglio, a due giorni dalla prima udienza. Da mezzogiorno, il Palazzaccio è assediato da torme di cronisti e telecamere, oltre che da gruppetti di manifestanti pro e contro il Cavaliere. Ma ora il silenzio nell’aula Brancaccio è assoluto: giornalisti, avvocati e pubblica accusa attendono il verdetto. Quando il presidente Esposito attacca a leggere, rigettando i ricorsi degli altri tre coimputati, le facce del plotone di difensori dell’ex premier, capitanati da Roberto Borgogno (Niccolò Ghedini e il professor Franco Coppi. sono rimasti a Palazzo Grazioli, insieme al Cavaliere), si rabbuiano, presentendo ciò che avverrà. Esposito va avanti: la corte annulla «la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni relative alla condanna della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per violazione dell’articolo 12 del decreto legislativo del 10 marzo 2000 e dispone trasmettersi gli atti ad altra sezione per rideterminare la pena accessoria». Qualche giornalista meno avveduto balza sulla sedia: annullata l’interdizione, sintetizza. In realtà, significa che un nuovo processo d’Appello a Milano (forse entro fine anno) dovrà ridefinire i cinque anni d’interdizione, portandoli da uno a tre anni, come prevedono le norme tributarie, ma non cancellandoli.Gli avvocati lo sanno bene e non battono ciglio, mentre il presidente completa la frase, con la parte che più pesa: la conferma della condanna per frode fiscale a 4 anni (3 sono già "indultati") a Berlusconi «nei cui confronti», la Cassazione «dichiara irrevocabili tutte le altre parti della sentenza impugnata». In parole povere, la temuta mazzata giudiziaria è arrivata. Ed a nulla sono servite l’arringa "demolitrice" del senatore-avvocato Ghedini («Manca la prova che Berlusconi abbia partecipato al reato») né quella dotta e argomentata (preceduta da scaramanzie e cornetti rossi) del professor Coppi: «Non era il dominus di alcuna catena di frodi». Dalla tenzone processuale esce vincitore il procuratore Antonio Mura, che ha visto accolte quasi in toto le richieste della requisitoria-fiume di martedì: rigetto dei ricorsi delle difese, ma anche rimodulazione della pena interdittiva inflitta al leader del Pdl.Gli imputati (oltre a Berlusconi: il produttore cinematografico egiziano Frank Agrama, condannato a 3 anni; Gabriella Galetto, 1 anno e 2 mesi; Daniele Lorenzano, 3 anni e 8 mesi) vengono inoltre condannati a rifondere le spese processuali e pure l’Agenzia delle Entrate, costituitasi parte civile, con 5.000 euro ciascuno. Ma per il Cavaliere sono quisquilie, non è questo che brucia, oggi. I suoi avvocati Francesca Coppi, Roberto Borgogno e Alì Abukar Hayo, sorridenti e speranzosi prima del verdetto, ora sono cupi: «Non dirò "A"» taglia corto Hayo prima di lasciare l’aula. Alle 21.20, una nota di Coppi, Ghedini e Piero Longo («La sentenza non può che lasciare sgomenti») conferma l’umore nero del pool difensivo, che però non molla: «Vi erano solidissime ragioni per pervenire ad una piena assoluzione. Perseguiremo ogni iniziativa utile anche nelle sedi Europee per far si che questa ingiusta sentenza sia radicalmente riformata». (Vincenzo R.Spagnolo)​​​​​​​​
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