mercoledì 18 maggio 2016
COMMENTA E CONDIVIDI
«Prima flessibilità era una parola innominabile, ma avrei voluto di più». Venerdì a Roma summit con Hollande e i leader Pse per scrivere una nuova «politica economica» per l’Ue. Obiettivo: concordare una deroga alla regola del debito sulla scia del Brexit e in vista del voto presidenziale in Francia ROMA Mai e poi mai Matteo Renzi avrebbe commentato la concessione del massimo storico di flessibilità con parole di entusiasmo e gratitudine verso l’Ue. Sarebbe stato un terribile autogol. E infatti i suoi commenti sono un rilancio, nemmeno si soffermano troppo su quanto incassato: «Bene, pensando al punto dal quale ci siamo mossi non possiamo che essere contenti, Padoan ha fatto un grande lavoro perché prima flessibilità era una parola innominabile. E mi fa ridere chi oggi dice è troppo poco, è una incredibile sottovalutazione dei passi avanti che abbiamo fatto. Però tecnicamente è vero, è meno di quanto avrei voluto, la battaglia sulla flessibilità continua», così come continua la battaglia sul migration compact e sulla cultura. «Abbiamo messo le basi, questo non è il punto di arrivo», ripete Renzi dalle 11 di mattina - quando sigla il Patto per Bari nel capoluogo pugliese - a sera inoltrata, quando incontra i gruppi parlamentari dem (in mezzo anche il passaggio a L’Aquila per il protocollo di rilancio della città colpita dal sisma nel 2009). Non ci sta a fare la parte del leader con il cappello in mano, Renzi. E soprattutto prende atto di un fatto: la 'stretta' richiesta dall’Europa sul 2017 è anche un’ipoteca su ogni tentazione di voto anticipato. Senza una manovra davvero espansiva è impossibile correre alle urne prima della fine della legislatura. Così il 2018 torna ad essere la rotta necessaria ed obbligata. E quel «la battaglia continua» vuol dire che il premier è pronto a concentrare tutta la sua forza negoziale non tanto sulla prossima legge di stabilità ma su quella successiva, che precederà di pochi mesi le elezioni politiche. È lì che dovranno confluire, necessariamente, gli interventi sull’Irpef e quelli a più alto impatto sulle casse pubbliche. Qualcosa lo fa intuire. «La Spagna fa il 5,1 di deficit, noi l’1,8. Sono 50 miliardi di differenza. Con 50 miliardi altro che Imu... Ma noi stiamo dentro un percorso e lo rispettiamo » . L’intenzione non è certo quella di intralciare la strada a Madrid o di giocare a fare il falco con i cugini iberici. Piuttosto, il paragone fa capire come il premier intenda tornare alla carica in grande stile. Venerdì, annuncia, arriveranno in Campidoglio Hollande e i leader del Pse per ragionare sul «modello di sviluppo» dell’Ue in vista di una «proposta economica » da lanciare dopo il referendum della Gran Bretagna sull’uscita dall’Europa, il cosiddetto 'Brexit'. La strategia è chiara. Renzi pensa di aver incassato il massimo nelle condizioni date. Ma ci sono margini. E questi margini possono maturare quando Bruxelles vedrà con i propri occhi quanto l’austerity abbia portato l’Inghilterra sull’uscio della porta e le forze populiste ormai alle calcagna di Pse e Ppe in diversi Stati membri. L’assalto finale alla regola del debito avverrà in quel preciso frangente, a ridosso del voto presidenziale francese. Forse troppo tardi per la manovra 2017, ma sicuramente in tempo per la legge di stabilità 'tagliatasse' del 2018. Se lo scenario è abbastanza chiaro, il breve termine invece ha delle nubi. La domanda delle domande è di cosa si comporrà la prossima legge di stabilità. Con i 3 miliardi di 'cauzione' chiesti dall’Ue insieme al rispetto rigoroso dell’obiettivo del deficit all’1,8 per cento, la manovra per il 2017 dovrà fare ricorso a consistenti tagli di spese anche solo per centrare il primo obiettivo, la disattivazione completa delle clausola di salvaguardia (ovvero l’aumento delle aliquote Iva), e confermare il secondo, il taglio dell’Ires. Difficile dunque immaginare come possano confluire nella manovra tutti o parte degli obiettivi sinora messi sul tavolo dai ministri: l’anticipo dell’intervento sull’Irpef, la flessibilità in uscita dal lavoro, l’estensione della platea degli 80 euro (di cui ha riparlato ieri il ministro del Lavoro Poletti), le misure profamiglia, l’abolizione del bollo auto, la riduzione delle tasse d’imbarco agli aeroporti annunciata ieri a Bari. Molto sarà rinviato a quando la «nuova politica economica Ue» sarà realtà. In tempo per le politiche. Lì Renzi conta di arrivare con un tesoretto di almeno 20 miliardi concordato con l’Europa per realizzare il vecchio sogno di Berlusconi, la drastica riduzione dell’aliquota Irpef sulla classe media. © RIPRODUZIONE RISERVATA
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: