lunedì 2 febbraio 2009
Gli ex militanti Memeo e Masala: «Rispetti le vittime». E oggi si apre il procedimento presso la Corte Su­prema brasiliana, al quale l’Italia è stata ammessa come parte, invitata a presentare ricorso entro cinque giorni.
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«Per quei drammatici fatti di 30 anni fa ve­nimmo condannati e abbiamo pagato, non barattando la nostra libertà con quella degli altri. Troviamo infamante che Cesare Battisti ci qualifichi come collaboratori di giustizia o pentiti». Non si fanno attendere le repliche dei di­retti interessati alle esternazioni dell’ex militante dei Proletari armati per il comunismo che "rifugiato po­litico" in Brasile aveva chiamato in causa quattro ex compagni di militanza, accusando loro per i quat­tro omicidi a lui «ingiustamente attribuiti». Dura la replica di Sebastiano Masala, Giuseppe Memeo, e della moglie di Gabriele Grimaldi (morto nel 2006) Pia Ferrari. Per loro l’atteggiamento di Cesare Batti­sti non aiuta a superare quella «tragica storia». Men­tre «il silenzio più delle parole si addice per il rispetto delle vittime e per chi non ha mai smesso di soffri­re ». E replica anche Alberto Torregiani, ferito e reso invalido 30 anni fa durante la rapina che costò la vi­ta a suo padre, il gioielliere Pierluigi: «Sta giocando sporco, cerca di denigrarmi», dice. Mentre il legale dei Pac Giovanni Beretta ricorda a Battisti come l’o­micidio del gioielliere sia stato deciso da tutto il gruppo, e poco rileva il fatto che nell’azione Battisti ma­terialmente non vi fosse, impegnato peraltro in al­tro agguato. Quanto all’omicidio Sabbadin, ricorda, «fu lui a impugnare la pistola e a sparargli». Ora, queste dichiarazioni di Battisti sono per lui «un boomerang», sostiene il sostituto procuratore ge­nerale di Torino Pietro Forno, giudice istruttore del processo ai Pac. «Un assassino, e della peggior spe­cie », lo definisce il procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro, che indagò contro l’ex terrorista. In Brasile, intanto, tiene il punto il ministro della Giustizia Tarso Genro, che ha firmato la concessio­ne dello status di rifugiato, alla base, ora, del dinie­go di estradizione: «Non mi pento», dice. Ma, dopo che anche Lula ha dichiarato «chiuso, per il gover­no » il caso, la contesa si sposta in sede giudiziaria. Oggi si apre il procedimento presso la Corte Su­prema al quale l’Italia è stata ammessa come parte, invitata a presentare ricorso entro cinque giorni. E questo alimenta le speranze del nostro governo. «Battisti è un criminale assassino», dice il ministro della Giustizia Angelino Alfano. «Procederemo con ogni azione giuridica possibile», conferma. Silvio Berlusconi e il presidente brasiliano Lula han­no smorzato i toni, ribadendo l’amicizia fra i due Paesi, lasciando la parola al Tribunale che dovrà de­cidere, ascoltando anche la versione italiana. Ma non è certo un momento fortunato nei rapporti di­plomatici fra i due Paesi, con una nuova polemica che scoppia, a parti invertite, per la pubblicità di una nota casa di moda milanese che ritrae un poli­ziotto brasiliano impegnato a perquisire fuori rego­lamento una ragazza su una spiaggia di Rio. All’am­basciata italiana in Brasile sarebbe stato chiesto uf­ficialmente il ritiro del manifesto, ma forse è ecces­sivo parlare di un nuovo caso diplomatico. E anche l’offensiva di An perché non si disputi l’a­michevole Italia-Brasile sembra destinata a non produrre effetti. Nonostante un sondaggio di Sky dica che il 61 per cento degli italiani avrebbe preferito che l’incontro non fosse disputato. «Solo un evento di spettacolo, lo sport non c’entra», si arrende il mi­nistro della Difesa Ignazio La Russa, anche se a­vrebbe auspicato che «per una volta un aspetto etico potesse prevalere su quello commerciale». Dalla Francia intanto, dopo le accuse al ruolo svol­to su Battisti, dalla first lady arriva un gesto disten­sivo: «Vado a Parigi invitato da Carla Bruni», fa sa­pere il presidente dell’associazione vittime del ter­rorismo Bruno Berardi.
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