mercoledì 11 dicembre 2019
Il cardinale, presidente della Cei, ha celebrato la Messa in preparazione del Natale: la vera felicità sta nello spogliarsi di pretese e nel capire con coraggio la realtà, spendendosi con generosità
Il cardinale Gualtiero Bassetti in una foto d'archivio (Siciliani)

Il cardinale Gualtiero Bassetti in una foto d'archivio (Siciliani)

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Questa sera, alle 19.30, a Roma, nella Chiesa di San Nicola dei Prefetti il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha celebrato la Messa in preparazione al Natale per i Deputati e i Senatori della Repubblica. Ecco il testo integrale dell'omelia

Questa sera avverto tutta la responsabilità di rivolgermi a voi, Senatori e Deputati, con una parola che possa raggiungervi personalmente e – se possibile – accompagnarvi nel servizio al bene comune, che vi è stato affidato. Un compito non facile, il vostro: servite la Repubblica in tempi difficili e, in molti casi, siete soli; se da una parte siete invidiati, adulati e ricercati da chi spera di ottenere da voi qualche favore o interesse, dall’altra spesso vi trovate a respirare l’incomprensione, la sfiducia, l’ingratitudine, sentimenti sprezzanti alimentati da luoghi comuni, che pretendono di fare di ogni erba un fascio.

Su di voi si scaricano tante stanchezze e disillusioni, incertezze e ansietà della nostra gente, provata dalla preoccupazione per il venir meno di un modello tradizionale di lavoro e di sviluppo e, a un livello ancor più profondo, per la fatica di tanti a riconoscersi in una propria identità, nell’appartenenza a una famiglia e a una comunità. Ne sono segno la caduta delle nascite, l’invecchiamento demografico del Paese e la stessa emigrazione di tanti giovani verso l’estero.

“Siamo un popolo di stressati, perché non abbiamo un traguardo, una prospettiva – riconosceva qualche giorno fa Giuseppe De Rita, a margine della presentazione del Rapporto del Censis –. Ci manca il futuro e, per questo, il presente diventa faticoso, fastidioso”.

Stanchi e oppressi, direbbe il Vangelo odierno. La stanchezza e l’oppressione di genti che non si sentono sostenute, ma frenate da pesi insopportabili, che non concedono spazio ai sogni, ai progetti di una vita familiare, professionale, comunitaria.

Sì, in un simile contesto non è facile il vostro servizio.

A maggior ragione, sentite rivolte a voi le parole del Vangelo che abbiamo appena ascoltato: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro”. Parole che invitano a seguire il Signore con rinnovata disponibilità e a portare con fedeltà il suo giogo. È significativo che Gesù pronunci queste parole dopo aver toccato con mano la mancata accoglienza e quindi, per certi versi, il fallimento del suo annuncio. L’insuccesso non lo chiude nell’amarezza, nel risentimento, non gli impedisce di continuare la sua missione; e la porta avanti senza smettere di ringraziare il Padre, sentito come il solo di cui ci si può davvero fidare, il solo da cui tutto deriva, il solo che con la sua Provvidenza regge la storia. Questa consapevolezza sorregge tutta la vita di Gesù e gli offre la luce per interpretare gli eventi e le situazioni.

Oggi, alla mancanza di prospettive, si aggiunge spesso l’incapacità di rapporti con gli altri: in fondo, si tratta di due facce della stessa medaglia. Questo sguardo miope sulla realtà rende ciascuno attento e sensibile soprattutto, se non unicamente, alle proprie urgenze personali, che diventano così il principale criterio di valutazione e d’azione della sfera pubblica.

In realtà, come osserva Sergio Belardinelli, sappiamo che «la forza di una cultura sta invece nella capacità di relazionarsi continuamente con ciò che è “altro”, senza perdere la consapevolezza della propria identità; nella capacità di tendersi il più possibile verso l’altro, senza spezzare i legami che si hanno con se stessi, con la propria storia e la propria tradizione».

Gesù offre come risposta la sua persona, la relazione con lui, da cui nasce il volto umano di ciò che siamo, la possibilità di vivere l’esistenza quotidiana affidandoci alla luce e alla forza del suo Spirito. È Lui il mite e l’umile di cuore. Ristoro dell’esistenza è un cuore umile e mite, alieno dalla violenza – compresa quella del linguaggio – e senza inganno.

Siano questi anche i tratti del vostro atteggiamento verso gli uomini che siete chiamati a servire nelle e attraverso le Istituzioni. Un Natale da parlamentari è una grande opportunità. La Costituzione indica il vostro dovere, ma il Natale vi mostra qual è il modo più autentico per compierlo: rinascere. E la rinascita politica passa dalla volontà di deporre odi e calunnie, di conoscersi meglio, di arrivare a guardarsi in modo diverso, di tendere a formare una comunità.

L’autorità dell’Istituzione parlamentare da sola non basta, se non c’è tra voi la gioia di condividere la grande responsabilità di cui siete investiti; le regole sono importanti, ma da sole non bastano: molto di più possono la chiarezza, lo studio, il confronto, la cordialità e, quel che più conta, la coscienza.

Le preoccupazioni che possono gravare sul vostro cuore sono legittime; ma proprio la storia del Natale di Gesù ci dovrebbe insegnare a conservare, anche nei momenti più difficili, la fiducia e il coraggio. Fiducia e coraggio ci aiuteranno a guardare la storia dalla parte di chi la soffre davvero. Non a caso papa Francesco, nell’omelia natalizia di un paio d’anni fa, ci ha raccontato il Natale con gli occhi di Maria e di Giuseppe. Sono l’esempio di tutta quell’umanità sofferente e, insieme, coraggiosa che è fuori dalle nostre Aule.

Dice il Santo Padre: “Il Figlio di Dio dovette nascere in una stalla perché i suoi non avevano spazio per Lui. E lì… in mezzo all’oscurità di una città che non ha spazio né posto per il forestiero che viene da lontano, in mezzo all’oscurità di una città in pieno movimento e che in questo caso sembrerebbe volersi costruire voltando le spalle agli altri, proprio lì si accende la scintilla rivoluzionaria della tenerezza di Dio”.

Pensiamoci… Tutti coloro che sono chiamati a decidere, a governare, dovrebbero ricordarsi che fuori dalle nostre Aule, fuori dai palazzi vescovili, fuori dalle canoniche, il mondo è in subbuglio. Il subbuglio non è una tragedia, ma qualche cosa che mormora dentro, che cerca di richiamare la nostra attenzione.

E il bene dell’Italia reclama la vostra attenzione. Il miglior augurio che posso farvi è dunque quello che proviate su di voi il subbuglio del Paese, che possiate davvero vivere le sue inquietudini e che possiate cercare rimedi. Si tratta di fare con passione e competenza il possibile, sapendo che ricostruire un tessuto identitario e comunitario non è opera che s’improvvisa. Possiamo fare il possibile, riconoscendo che si può essere importanti e decisivi anche se non si è onnipotenti. La politica, scriveva Pietro Scoppola, è prima di tutto sofferenza per ciò che la politica non può ottenere, è sofferenza per l’impossibile, esercizio di pazienza e di mediazione.

Il vostro Natale sia prima di tutto il ritorno a voi stessi, ritorno a verità che ciascuno conosce. Natale è il momento della pace: Giuseppe e Maria a Betlemme non hanno trovato altro che una stalla per far nascere il loro bambino, ma erano felici.

La vera felicità sta nello spogliarsi di pretese e nel capire con coraggio la realtà, spendendosi con generosità per renderla migliore per tutti.

Buon Natale all’Italia, buon Natale a ciascuno di voi.

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