sabato 14 agosto 2010
Dopo l'intervista in cui il Capo dello Stato ha messo in guardia dal pericolo del «vuoto politico» schieramenti divisi. Bersani con il presidente della Repubblica: «Berlusconi rispetti la Costituzione». Anche i finiani con il Quirinale.
- Napolitano: «Stop alle rese dei conti»
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Forte è stato l’impatto sull’attuale stallo politico delle interviste - di segno in parte diverso - rilasciate dal capo dello Stato Giorgio Napolitano e dal presidente del Senato Renato Schifani. La prima che frena chi vuole correre alle urne dimenticando che - Carta alla mano - occorre prima passare per il Quirinale. La seconda che si appella alla «costituzione materiale» e avverte: «O Berlusconi o voto». Letti i giornali, le truppe si dispongono sul campo di battaglia. Il Pdl sostiene al gran completo la tesi della seconda carica dello Stato, e con Fabrizio Cicchitto fa balenare - due volte lungo la giornata - il ricorso alla piazza: «I governi tecnici sono manovre di Palazzo, Pdl e Lega non possono essere messi all’opposizione, nel caso sarebbe legittimo sviluppare le più incisive manifestazioni politiche, in Parlamento e nel Paese». Il Pd, con il segretario Bersani in prima linea, si pone a difesa del Colle: «Berlusconi dovrà rispettare la Costituzione, le loro minacce non impressionano nessuno».Poi, al termine di una giornata già calda, irrompe nel dibattito anche Umberto Bossi: «Andare alle elezioni è naturale quando il governo non funziona più, un "vuoto di governo" – dice riferendosi alle parole del presidente – può essere anche un esecutivo spaccato che non riesce a combinare niente». D’altra parte, prosegue, «è impossibile andare avanti con questo caos nella maggioranza», e al Quirinale preoccupato di possibili ripercussioni economiche fa notare che «questo è il momento meno pericoloso per andare alle urne». Infine la chiosa: «Napolitano non farebbe mai nulla contro la volontà popolare».Dalla parte del Colle ci sono i finiani, soprattutto per quella porzione d’intervista in cui invita a interrompere l’attacco al presidente della Camera. Ma l’asse lungo pro-Quirinale che va da Fini alla sinistra si interrompe con i distinguo di Di Pietro: «Ha detto una cosa giusta, ma la sua è un’entrata a gamba tesa» (l’ex pm, con la sua uscita, ha indispettito non poco i moderati del Pd). Previdibile «l’ampia condivisione» di Lorenzo Cesa, segretario Udc: i centristi sollecitano da tempo un esecutivo di "responsabilità nazionale".Nel complesso, il Pdl non cede alla tentazione dello scontro frontale con il Colle, ma nota su nota elogia «il realismo, la moderazione, la saggezza» di Schifani. Prendono la parola i ministri Frattini - che aveva già anticipato le idee del presidente del Senato -, Brunetta, Alfano, Sacconi, Rotondi. C’è chi come il coordinatore Sandro Bondi e Maurizio Gasparri mostra più diplomazia, ma il finale è sempre lo stesso: «Meglio il voto che la paralisi». Intervengono Quagliariello, Capezzone, Lupi, e il punto è chiaro: ormai c’è una «prassi democratica» che impone di lasciare la parola ai cittadini, a meno che i finiani non restino nell’attuale governo. Di esecutivi tecnici neanche a parlarne. Non mancano accenti più polemici con il Quirinale, specie quando si mette a confronto lo "scudo" concesso a Fini con il silenzio sugli attacchi al premier, oppure facendo notare la "sede" dell’intervista, il quotidiano l’Unità.L’idea di scavalcare il capo dello Stato invocando le urne scatena il Pd: «È un pensiero para-costituzionale – attacca Bersani –. Per loro il consenso è come un plebiscito, la Carta un involucro formale». Il segretario stigmatizza le parole di Schifani e l’uscita di Cicchitto sulla «piazza», poi punta dritto al cavaliere: «La Costituzione di Arcore ancora non c’è, volente o nolente rispetterà quella su cui ha giurato». Parole simili vengono da Rosy Bindi, Marino, Fassino e dagli uomini vicini a Letta.
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