sabato 29 giugno 2013
Collusioni, minacce, prestanome: un pentito racconta. Francesco Della Corte gestiva gli affari per conto degli Schiavone. Il controllo delle slot? «Era dei clan» Le concessioni? «Formalmente intestate ad altre persone». E dagli amministratori c’era «protezione».
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Nel 2009 nel periodo in cui sono stato con Nicola Schiavone, gestivo i punti scommesse sul territorio e prendevo una percentuale tra il 15 e il 25% per ogni postazione che veniva installata in bar e circoli pubblici nei comuni controllati dal clan». Così il collaboratore di giustizia Francesco Della Corte ha raccontato ai magistrati il sistema dell’affare nel gioco d’azzardo del clan dei "casalesi". Aggiungendo che «la società era formalmente intestata ad altre persone» ma che del 2009 il clan aveva «il controllo del gioco d’azzardo che si svolgeva nei comuni controllati da Nicola Schiavone». Parole ampiamente citate nell’ordinanza dell’operazione "Rischiatutto" che due giorni fa ha pesantemente colpito il ricchissimo business guidato da figlio maggiore di Francesco Schiavone "Sandokan", il capo della famiglia. Nicola che, spiegano gli inquirenti, «operava sulla direttrice Casal di Principe, Modena, Romania. Mente imprenditoriale che aveva subito capito l’importanza del settore dei giochi». Quelli legali, con tanto di concessioni, attraverso imprenditori apparentemente puliti. E non solo in casa loro. Infatti, scrivono i magistrati nell’ordinanza, il clan in Emilia Romagna è riuscito a far nascere circoli e altri luoghi di gioco che sono «l’elegante replica e la riproposizione in termini moderni di quelle bische clandestine di Casale dove il rampollo della famiglia di camorra amava trascorrere lunghe ore notturne». Da passatempo ad affare, il salto è stato facile. Soprattutto nel proprio territorio. Così dopo l’imposizione del latte (quello della Parmalat, come accertato da inchieste degli anni ’90), dopo quella del caffè (ancora oggi in campo, malgrado altre inchieste), si è arrivati all’imposizione delle slot e di altri giochi. E a farlo sarebbero le stesse persone, riconvertite al nuovo affare e “protette” dal clan. Persone “pulite”, titolari di concessioni, produttori e distributori di macchinette. Ma si sa bene per conto di chi. Così uno dei più fidati uomini di Schiavone junior, Bartolomeo Cacciapuoti, si rivolge al titolare di un agenzia per imporgli la società di scommesse "di fiducia": «Leva di mezzo la Bet Shop altrimenti siamo costretti a farti chiamare a Nicolino e ti sistema tutte le cose». E Della Corte, nel suo racconto, non è da meno: «Il Casinò Normanno ad Aversa (una della sale sequestrate due giorni fa, ndr) è del figlio di “cicciariello”, Paolo Schiavone. I Grasso (noti imprenditori dei giochi già coinvolti in altre inchieste, ndr) sono soci di fatto del clan dei casalesi. Chi invece lavorava per conto proprio era Amato di Santa Maria Capua Vetere che quindi velavamo ammazzare». Gioco legale, dunque, in mano ai clan. Come conferma l’analisi dei magistrati. «Sono stati documentati i rapporti tra il “Gruppo Schiavone” e la società di scommesse Betting 2000, titolare di concessione del ministero delle Finanze e riconducibile ai fratelli Grasso Renato e Tullio, imprenditori nel settore dei videogiochi, i quali si erano garantiti una condizione di monopolio per la fornitura di apparecchi elettronici nella maggior parte delle aree campane, nonché il basso Lazio e la Capitale, finalizzati all’apertura di nuovi centri scommesse gestiti dal sodalizio, utilizzando le credenziali della citata società». Il tutto avviene con protezioni e collusioni politiche e amministrative. Come il consigliere comunale di Santa Maria Capua Vetere, Alfonso Salzillo, tra i 165 indagati, che, con alcuni imprenditori, avrebbe addirittura accompagnato Nicola Schiavone nel viaggio in Romania per mettere in piedi i server delle scommesse on line («Qua ci devo mettere le tende», dice intercettato il giovane Schiavone). E una sala gioco compare anche nel decreto di scioglimento per infiltrazione camorrista del comune di Casapesenna, altro feudo dei "casalesi". Si fa riferimento a un cambio di destinazione d’uso di un immobile da civile abitazione a commerciale «in assenza dei presupposti di legge», proprio per aprire un «esercizio di attività di raccolta di scommesse e sala giochi». I personaggi coinvolti risultano legati a boss del calibro di Michele Zagaria e Antonio Iovine “o ninno”. Eppure, col nome cambiato, quella sala giochi è ancora lì. Aperta e funzionante.
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