giovedì 5 gennaio 2017
Due degli attentatori uccisi, un terzo in fuga. Sospetti sul Pkk.
Torna il terrore a Smirne: autobomba uccide due persone
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Per la Turchia è di nuovo il giorno del terrore e questa volta è probabilmente di matrice curdo-separatista. Erano da poco passate le 16, le 14 in Italia, quando una macchina con tre terroristi, armati di due kalashnikov e otto bombe a mano, si è avvicinata all’ingresso C del tribunale di Smirne, quello riservato a giudici e pubblici ministeri. Tutto si è svolto nel giro di pochi minuti. Gli attentatori hanno fatto prima esplodere un’autobomba, incendiando due veicoli e cercando di aprirsi un varco fra le forze di sicurezza prima e sfondare il posto di blocco poi. Il bilancio, della sparatoria che ne è seguita, è di 4 morti: due terroristi, un poliziotto e un impiegato del tribunale che, per una macabra ironia della sorte, era stato assunto proprio perché parlava il curdo. Ci sono anche 10 feriti, sei agenti e quattro civili, alcuni in gravi condizioni.



Un terzo terrorista è riuscito a fuggire: è giovane, alto circa 1,70 e ha un berretto bianco. Circa un’ora dopo i fatti è arrivato l’ormai consueto divieto di diffondere notizie e immagini dell’attacco. Il prefetto di Smirne, Erol Ayyildiz, ha sottolineato che si è trattato di un «attacco di matrice curda», quindi del Pkk e non ricollegabile alla strage di Capodanno, e che sono già stati fermati due sospetti. Molti degli arresti effettuati nei giorni scorsi, si erano concentrati proprio nella città di Smirne e subito dopo l’attentato al- cuni analisti avevano pensato che l’attacco al tribunale potesse avere una qualche connessione con la carneficina sul Bosforo di inizio anno. La diversa matrice dimostra come il Paese sia sotto attacco da più parti, con oltre 200 morti nel solo 2016. A questo proposito, ieri è tornato a prendere la parola anche il presidente, Recep Tayyip Erdogan, ribadendo il suo appello alla coesione nazionale. «La Turchia è sotto attacco contemporaneo di diversi gruppi terroristici e vogliono metterla in ginocchio – ha spiegato –. Non c’è nulla che non abbiano ancora provato, ma non ci sono riusciti. Non possono mettere la nostra gente l’una contro l’altra. Non sono riusciti a distruggere la nostra unità e non ci riusciranno». Intanto a Istanbul proseguono le indagini sulla strage al Reina costata la vita a 39 persone. Gli inquirenti sono sempre più convinti che l’attentatore abbia origini uighure, ma nonostante lo spiegamento di forze dell’ordine, il killer, che ha ucciso a sangue freddo e con la precisione di un militare, è ancora a piede libero. Anche se, secondo fonti di polizia, si troverebbe a Istanbul e non sarebbe riuscito a scappare all’estero.




Le indagini proseguono e si soffermano sulla minoranza turcofona dello Xinjiang cinese. Nella notte fra mercoledì e giovedì sono state arrestate altre persone e sono stati istituiti posti di blocco nella provincia di Edirne, dove si trova il confine di terra con la Grecia. Il vicepremier, Numan Kurtulmus, intanto, in una lunga intervista al quotidiano Hurriyet, ha ipotizzato che l’assassino avesse dei complici all’interno del locale e che nella strage potrebbero avere avuto «un ruolo anche i servizi segreti di Paesi stranieri». Contro gli Usa hanno puntato invece il dito i media di regime. E la situazione interna resta molto tesa. C’è chi crede che, dopo aver prolungato lo Stato di emergenza di altri tre mesi, le autorità governative potrebbero votare misure ancora più restrittive. Il governo lavora su più fronti, senza dimenticare quello che rimane comunque il più temuto dal presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan: l’ex imam in autoesilio negli Stati Uniti, Fethullah Gülen, un tempo suo alleato, adesso nemico numero uno e accusato di essere dietro il golpe fallito dello scorso 15 luglio. Dopo mesi in cui sono finite in carcere insegnanti, giornalisti, miliari e magistrati, ieri sono scattate le manette anche per 105 mogli di ufficiali accusati di avere avuto un ruolo nel fatti di luglio e 380 imprenditori in 35 province. Secondo gli inquirenti turchi, le consorti avrebbero finanziato l’organizzazione di Gülen tramite transazioni economiche effettuate attraverso Bank Asya, l’istituto di credito privato che l’ex imam possedeva indirettamente e che lo scorso anno è stato messo sotto amministrazione controllata dalle autorità di Ankara.

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