sabato 16 marzo 2013
Si sviluppa fino a 35 anni dopo l’esposizione. Una ricerca conferma senza dubbi che le vittime hanno subito una contaminazione con il materiale killer largamente utilizzato per decenni per le sue proprietà ignifughe.
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​L’amianto, primo responsabile del famigerato mesotelioma, un tumore che colpisce i polmoni, può causare anche un tipo di tumore al fegato, il colangiocarcinoma. L’ha dimostrato per la prima volta uno studio dell’Università di Bologna: un team guidato da Giovanni Brandi, docente di Oncologia medica al Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale, in collaborazione con la Medicina del Lavoro dell’Alma Mater ha studiato 145 casi di questa neoplasia presso il Policlinico Sant’Orsola-Malpighi dal 2006 al 2010. Dall’analisi si è riscontrato un aumento di rischio di contrarre la malattia fra lavoratori portuali, manovali edili, carpentieri, addetti alle fornaci, ferroviari e altri mestieri che comportavano un’esposizione all’amianto. Il colangiocarcinoma è una forma tumorale relativamente rara (circa 3,5 casi ogni 100mila abitanti per anno in Italia) ma si contraddistingue per un elevato indice di mortalità. «Nonostante l’amianto sia stato bandito da vent’anni – spiega Brandi – le patologie ad esso collegate rischiano di essere un problema del futuro, perché la malattia si sviluppa in un arco dai 20 ai 35 anni dalla prima esposizione e quindi il picco epidemico probabilmente non è ancora stato raggiunto».Negli ultimi trent’anni le statistiche hanno confermato un preoccupante aumento dei casi di questo tumore in Occidente, soprattutto a carico di maschi anziani. «Un incremento che non poteva essere spiegato con le cause note della malattia – continua il professore di Oncologia – ovvero calcolosi delle vie biliari, patologie congenite, epatiti virali, infezioni da parassiti, steatosi epatica e cirrosi». I ricercatori di Bologna hanno rivolto l’attenzione altrove e si sono concentrati sull’analisi degli ambienti di lavoro. «L’ipotesi di una possibile associazione tra amianto e rischio di colangiocarcinoma – continua Brandi – fu formulata già all’inizio degli anni ’80 ma nonostante ciò finora la letteratura medica ha ignorato l’analisi del rischio causato da questa esposizione». La ricerca conferma senza dubbi che le vittime abbiano subito una contaminazione da amianto, materiale largamente utilizzato per decenni, per le sue proprietà ignifughe, in edilizia, cantieristica e meccanica, fino alla sua messa al bando, in Italia, nel 1992.Questa scoperta si inserisce in un articolato programma di altri tre rami di ricerca portati avanti dalla squadra di Bologna: due studi epidemiologici, finalizzati alla scoperta della correlazione tra esposizione all’amianto e la conseguente malattia e uno prospettico che permetterà di accertare quale tipo di esposizione all’amianto provoca i tumori, spesso mortali. «Questa ricerca potrebbe restituirci la firma “molecolare” dell’esposizione. Come a dire: se il tumore è stato causato dall’amianto, l’avrà scritto nelle sue cellule. Una prova inconfutabile» spiega Brandi. «Questo potrebbe essere il fattore decisivo per risolvere le controversie legali legate all’esposizione all’amianto. Spesso infatti – continua – le vittime non vengono risarcite perché non si riesce a provare il rapporto di causa ed effetto tra l’esposizione alla sostanza nociva e il tumore».
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